Dal primo incontro negli anni dell’università alla condivisione della responsabilità del movimento di Comunione e Liberazione. Tutto perché don Stefano Alberto scoprisse l’avvenimento di Cristo, attraverso il carisma di don Giussani.

Nel primo incontro con don Giussani, nel maggio del 1981, sono stato colpito e affascinato da due fattori della sua persona, approfonditi e sempre rinnovati da tutta la vita passata insieme a lui. Studente del terzo anno di Giurisprudenza a Torino, avevo da poco aderito totalmente al Movimento. Partecipai a una delle lezioni sulla Chiesa che Giussani teneva per gli studenti degli atenei milanesi, oltre ai suoi corsi all’Università Cattolica. Prima di quel giorno non avevo mai sentito parlare un uomo con una coscienza così profonda e totalizzante di Cristo. Mi accorsi da subito che per lui Cristo era realmente una Presenza concreta, come un amico che ti sta davanti, e il rapporto con Lui l’origine di uno sguardo diverso sul reale. Per questo mi colpì la certezza e la forza del suo giudizio su ogni cosa, testimonianza di una fede ragionevole, che rendeva possibile affrontare tutti gli aspetti della vita, senza censurare nulla, anzi, valorizzando tutto l’umano.

Nei mesi e negli anni successivi iniziò un’amicizia, favorita soprattutto dai suoi sistematici incontri con gli universitari, che mi aiutò in modo decisivo nella verifica della vocazione alla verginità e nel precisarsi della chiamata al sacerdozio. Un’amicizia che si approfondì e consolidò definitivamente durante il mio soggiorno in Germania. Da essa scaturirono due fatti decisivi. Il primo fu la mia “consegna” da parte di don Giussani alla Fraternità San Carlo, dove don Massimo mi accolse per l’ultimo tratto di preparazione al sacerdozio e per l’ordinazione. Il secondo fu l’invito, per me del tutto sorprendente, a sostituirlo nei corsi di Teologia in Cattolica, a partire dal novembre del 1991. Dopo il mio rientro a Milano, don Giussani mi coinvolse sempre più nelle responsabilità del Movimento e dei Memores Domini, ma soprattutto nella sua intensissima esistenza, fino a chiedermi di andare a vivere, dal settembre 1993, a casa sua, presso il Convento delle Suorine di Carità dell’Assunzione, in via Martinengo, dove lui, che già viveva a Gudo Gambaredo, trascorreva però ancora molte ore delle sue giornate.

Quegli anni per me sono stati vissuti nell’esperienza della coesistenza di una continua sorpresa e sproporzione davanti allo sprigionarsi quotidiano della grandezza della sua vita e da una sempre più profonda familiarità con lui. Quest’ultima era tutta segnata dall’evidenza che la passione per Cristo, testimoniata da lui in mille modi, è la sorgente di una positività inesorabile nei confronti di tutta la realtà e ha il suo vertice nella misericordia e nel perdono. Un’esperienza dunque di pace e letizia e nello stesso tempo un drammatico vortice di vita, dominato dalla sua umile e audace tensione a scoprire ogni giorno il manifestarsi dei segni dell’opera di Cristo.

Don Giussani mi ha testimoniato che cosa significhi nella carne dell’esistenza che il cristianesimo è avvenimento, fino ai giorni dolorosi della malattia vissuta imparando di ora in ora l’abbandono al disegno di Cristo, attraverso il “sì” della Madonna «di speranza fontana vivace». Giorni di prova e di letizia, segnati dal fiorire di tanti “io” in tutte le parti del mondo, dall’America alla Russia, all’Africa, fiori di un’unica radice che era il suo sacrificio offerto a Cristo; segnati dalla gioia per la venuta a Milano dalla Spagna di don Julián Carrón, che egli considerava il dono più bello che il Signore gli aveva fatto al termine della vita.

Posso provare a riassumere il senso della sua paternità e amicizia nella scoperta che la vita è un inizio continuo, come egli stesso ebbe ad affermare nel 1996: «Di tutta la mia esperienza io credo di poter testimoniare di fronte al Signore: l’unica cosa pura è stato l’inizio, e l’inizio continuo, ogni giorno, di quello che il Signore mi ha suggerito di fare».

 

(Don Giussani all’eremo del Beato Lorenzo, a Subiaco, anni 60. Foto di Elio e Stefano Ciol).

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