Per me, come penso per molti, l’impeto missionario è forse un po’ incosciente. Ma non posso stare tranquillo se penso a tutti quelli che saranno soli, abbandonati, lasciati morire così, senza nemmeno i sacramenti. È commovente sentire di tante persone, padri e madri di famiglia con figli, che lavorano giorno e notte in ospedale senza temere la morte! A volte mi domando: ma noi, che abbiamo dato la vita a Gesù e non abbiamo nemmeno figli, mogli, aziende, chiudiamo le chiese e ci serriamo in casa per paura del contagio?
Mi sembra importante che ci aiutiamo e che aiutiamo la gente a capire che la morte non è la fine e che in fondo, come ha detto Gesù, che vale se guadagniamo il mondo intero e poi perdiamo noi stessi? Qui in America c’è il rischio di un rincorrere la vita cercando di sconfiggere la morte, dimenticandosi però che Cristo ha già sconfitto la morte.
Quando penso al “sì” detto il giorno della mia ordinazione, penso anche alla disponibilità a Gesù e alla Chiesa – totale, assoluta, priva di ogni tentennamento – che desidero cresca in me ogni giorno di più. In questi giorni, vorrei proporre alla casa, durante le cene che si svolgono nel silenzio, di leggere le lettere di san Damien di Molokai, per trovare in lui un esempio di sacerdozio vissuto senza limiti, come partecipazione all’amore che Cristo ha per l’umanità.
St Paul, Usa, 15 marzo 2020
(Nella foto, una veduta di St. Paul, capitale del Minnesota, Usa)