La prima volta che ho pensato di “fare il prete” avevo undici anni. Il sacerdote dell’oratorio, che frequentavo spesso, di tanto in tanto organizzava, per i ragazzi che lo volessero, dei ritiri di un fine settimana nel seminario di Venegono, dove potevamo pregare, giocare, mangiare e vivere con gli altri ragazzi del seminario minore. Anche se non ho una memoria precisissima di quei momenti, ricordo bene che un giorno mi dissi: “Io il prete lo farei, è bello”.
Spesso tornavo a casa con una specie di slancio religioso e mi mettevo a leggere il Vangelo in camera mia, quasi di nascosto. Tutto questo durava al massimo due giorni, dopodiché amici e giochi tornavano a dominare il mio tempo libero.
Dopo la Cresima, smisi di frequentare l’oratorio, come quasi tutti i miei amici, però non ho mai smesso di andare in chiesa, grazie alla mia famiglia che da sempre mi ha educato alla fede. Se qualcuno mi avesse chiesto il perché del mio andare a messa, probabilmente avrei risposto: “Perché, si può forse non andarci?”.
L’incontro con il Movimento, in forma embrionale durante le medie e poi alle superiori, iniziò a riempire di ragioni personali e convincenti la mia fede, attraverso il nascere di amicizie bellissime, molte delle quali durano ancora oggi. Non posso pensare alla mia fede senza pensare anche ai miei amici. Il desiderio di vivere sempre un’amicizia, una comunione come quella che iniziai a sperimentare in quegli anni, mise radici profonde.
Durante una vacanza di Gs partecipai ad una messa in cui concelebravano cinque preti. Per la seconda volta pensai: “Ecco, questa è la comunione che voglio vivere”, tanto che confidai questo pensiero a un amico con cui condividevo la stanza. Ancora non osai prendere sul serio quell’intuizione e, complice un innamoramento, per la seconda volta lasciai perdere.
Gli anni dell’università marcarono un cambiamento definitivo. Tutto quello che mi aveva affascinato rispetto alla vita della fede, rispetto alla vita del Movimento, esplose con una intensità incredibile. Incontrando in quegli anni, in diverse occasioni, alcuni preti e seminaristi della Fraternità, mi scoprii attratto quasi irresistibilmente verso quella forma di vita, così piena di comunione, di amore agli uomini e a Gesù. Decisi di lasciare la mia ragazza per iniziare, finalmente, un cammino di verifica di quell’ipotesi che il Signore aveva iniziato a suggerirmi molto tempo addietro, come una promessa che finalmente si poteva compiere.
Il cammino che mi ha condotto da quel momento fino al mio ingresso in seminario è stato tutt’altro che lineare, ed è passato anche attraverso un periodo in monastero e un tempo lavorativo. Questo tempo mi è servito per iniziare la mia formazione con un cuore più disponibile alla volontà del Signore. Sapere che quella Sua volontà sta per incidere in modo così decisivo e indelebile nella mia vita, mi suscita un senso di gratitudine immensa.
Nella foto, Stefano Motta con i ragazzi della parrocchia San Juan Bautista, a Fuenlabrada, cittadina alle porte di Madrid, dove sono in missione.