Nell’estate del 2020 lavoravo da più di due anni in uno studio di architettura a Milano. Un giorno, quando dissi al mio capo che dovevo parlargli, mi anticipò: “Ti abbiamo dato l’aumento, ti abbiamo dato le ferie, ti do sempre i lavori più belli, cosa vuoi di più?”. Lasciavo il lavoro per entrare in convento, scelta – a detta sua – un po’ vintage. Dopo avermi chiesto se ero impazzita, arrendendosi alla mia decisione irremovibile mi disse: “Certo che se alla fine Dio non esiste, ti prendi una sola pazzesca!”. Insieme a simili commenti, tante domande hanno accompagnato il mio licenziamento e la mia partenza per Roma: cosa avevo scoperto di me lavorando? Perché l’avevo fatto? Come avevo trovato il coraggio per questa decisione? Sapevano che il lavoro mi piaceva e che ero legata a tanti di loro.
Dopo tre anni, a novembre 2023, mi hanno invitata in ufficio per raccontare la mia esperienza a partire dalla domanda: come è possibile fare scelte libere nella scoperta del proprio posto nel mondo? Cosa ci muove? Ho raccontato loro la mia storia, i desideri che negli anni mi avevano accompagnata e gli incontri che avevo fatto. Ho svelato loro quali pensieri abitavano il mio cuore mentre camminavo per quei corridoi e di come Dio, discretamente ma con insistenza, mi sussurrasse all’orecchio il suo invito: “Vuoi essere felice? Seguimi!”. Durante l’incontro, osservavo i volti di quei colleghi che avevano popolato la normalità eccezionale delle mie giornate. Quei volti attraverso cui il Signore mi si era fatto vicino: nelle parole del compagno di scrivania, nello sguardo di un’amica, durante un viaggio in treno, nel lavoro in cantiere con gli operai. Quegli stessi volti che Dio conosce e ha amato da sempre e per i quali ha disegnato una casa e un compito.
Solo un figlio che scopre di essere amato può trovare il coraggio di decidere per qualcosa
Dicevo loro che questa casa e questo compito non sono quelli che costruiamo noi con quattro mura e con qualche master sul curriculum: ce li ha già preparati, ci chiede solo di riconoscerlo. Per scoprirli c’è bisogno di amici che sostengono il cammino della vita e di padri che fanno luce nei sentieri del cuore. Padri che sono stati per me il segno della paternità più profonda di Dio. Solo un figlio che scopre di essere amato può trovare il coraggio di decidere per qualcosa. Infatti, non ho lasciato né per i soldi né per le ferie. E sì, in effetti per un lavoro più bello ma innanzitutto per una persona, Gesù Cristo.
Sono tornata a Roma grata a Dio per avermi donato di nuovo, per un giorno, la vicinanza di queste persone che oggi porto nella preghiera. Chiedendomi di lasciare quello studio, il Signore non mi ha chiesto un atto di abbandono ma di amore. Il mio amore per la vita di questi colleghi, lo vivo indossando questo abito, annunciando loro che Dio esiste e che è fedele alla sua promessa.