Il catechismo ai ragazzi della Magliana: da pane e cioccolato fino alla lettura in silenzio del vangelo: comunicare agli altri per completare se stessi.

Preparare i ragazzi della Magliana a ricevere il sacramento della cresima è stata la mia caritativa durante l’anno passato. Da diversi anni la Fraternità san Carlo si prende cura di una grande parrocchia in quel quartiere della periferia di Roma. Sono andato lì ogni venerdì pomeriggio per insegnare ai ragazzi di quinta elementare un po’ di catechismo. L’appuntamento era alle cinque del pomeriggio, subito dopo la scuola.
All’inizio ho provato ad accoglierli in classe con pane e nutella; la seconda settimana con dei giochi. È stato però difficile, in seguito, tenere desta la loro attenzione, non riuscivo a terminare una frase senza essere interrotto. Da subito, sono rimasto colpito anche dal loro scetticismo, nonostante la giovane età, circa i contenuti della fede. Spinto dai consigli di don Paolo Desandré, ho deciso di affrontarli di petto. «Perché siete qui? Cosa cercate? Voglio raccontarvi di Gesù, della storia più sensazionale che io abbia mai sentito: chi la vuole conoscere e vuole viverla, è nel posto giusto; gli altri possono andare». Tutti hanno deciso di rimanere. «Chissà – ho pensato – forse non hanno capito».
Negli incontri successivi, grazie anche all’aiuto di Luca, un altro seminarista, ho potuto lavorare con serietà. Ho iniziato a leggere loro alcuni episodi del Vangelo in cui ho percepito la forza e la natura di Gesù, brani che mi fanno gustare appieno il modo del suo agire. Tra i ragazzi, durante quelle letture, è calato il silenzio. Poi, con domande e scritti, li ho sfidati circa l’autenticità di quei racconti. Ho capito che il loro scetticismo deriva dal fatto che non studiano la vita di Gesù a scuola, ma solo in parrocchia. E dal fatto che nessuno ha mai raccontato loro la storia dall’inizio alla fine, in maniera logica, come qualsiasi altro racconto veritiero. Hanno sempre sentito tali racconti come pretesti per una “predica”, e mai per quello che naturalmente sono: la narrazione di eventi reali.
Così ho impostato tutte le lezioni di catechismo, per aiutarli a immergersi nell’ambiente in cui Gesù viveva e a cogliere la portata straordinaria di ciò che faceva. D’altronde, chi ha mai mutato l’acqua in vino? Chi ha mai guarito un cieco? Chi ha mai resuscitato un amico morto da quattro giorni? Chi si è mai presentato pieno di vita dopo una morte reale e cruenta?
Come tutto ciò era determinante per le loro vite? Innanzitutto, nella preghiera, alcuni si accorgevano di rivolgersi a Qualcuno vivo, risorto, che in terra c’era stato davvero. Inoltre, questa novità ha generato un’amicizia tra noi. Prenderli sul serio, senza trattarli da bambinetti, ma chiedendo loro il massimo impegno (anche nelle partite di calcio prima e dopo le lezioni!) mi ha aiutato a guardarli con stima. Anche il loro scetticismo, considerato a fondo, è diventato una strada per capire chi sono veramente e per rispondere alle loro domande.
Nel corso del tempo ho scoperto in me la gratitudine per essermi comunicato a loro, per aver dato loro la cosa più preziosa che io avessi scoperto. Comunicare agli altri ci dà proprio l’esperienza di completare noi stessi, ha scritto don Giussani. Incontrarli, conoscerli, interessarmi a loro, scoprire l’originalità di ciascuno di loro, lasciarmi sorprendere dai loro modi di agire e reagire, è stato gratificante in sé. Dice ancora il “Gius”: la legge suprema del nostro essere è condividere l’essere degli altri, mettere in comune se stessi.

Nella foto, un momento di festa durante una vacanza con un gruppo di ragazzi delle scuole medie di Roma.

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