Carissimo don Carlo,
non immaginavo proprio di doverti scrivere così presto questa lettera verso l’eterno. Ci eravamo sentiti al telefono poco tempo fa e avevamo già fissato un incontro a Bologna per la terza settimana di settembre, ma Dio ha voluto diversamente. Ti ha preso con sé quando nessuno di noi poteva presagirlo, lasciando in me – come in tutti i tuoi amici – assieme a un grande vuoto, un bisogno di silenzio, di preghiera, di riflessione su ciò che conta veramente nelle ore terrene.
Le nostre due persone si erano legate nel tempo in un affetto molto profondo espresso da parte tua in mille attenzioni, consigli, risate, sguardi, lezioni di vita, parole. Ci siamo conosciuti negli ormai lontanissimi anni Settanta, all’Università Cattolica di Milano. Io, appena laureato, frequentavo i corsi del Dipartimento di Scienze Religiose, che era stato da poco inaugurato. Don Pino Colombo, padre Lyonnet, padre Cantalamessa erano alcuni dei maestri. E tra loro c’eri tu, giovane ma già affermato insegnante di Teologia morale. Ho ancora le fotocopie delle tue dispense scritte interamente a mano. Cosa ricordo di quei mesi? La profonda struttura razionale delle tue lezioni. Avevi assimilato l’insegnamento di san Tommaso e ce lo presentavi senza ripeterlo pedissequamente come un dogma che piovesse dall’esterno. Era invece un amore profondo per la verità, ricercata nella grande Tradizione dei Padri e della Scolastica in dialogo con le domande poste dalla filosofia moderna e contemporanea.
Avrei ritrovato questo stesso amore per la ragione in un infinito numero di tue lezioni nei quasi cinquant’anni della nostra vicinanza. Amore per la ragione, per quella verità che veniva sempre più dimenticata e addirittura osteggiata dal pensiero debole, dal nichilismo e dal relativismo successivo. Già si vedeva in te quella che sarebbe stata, decenni dopo, la grande battaglia di Benedetto XVI.
Le nostre strade hanno preso poi apparentemente indirizzi geografici diversi. Io andavo a Roma, tu restavi nella mia Milano, dove insegnavi alla Facoltà teologica e pubblicavi articoli scientifici che ti ponevano all’attenzione del mondo della teologia. Nel 1981 usciva Viventi in Cristo, che Giacomo Biffi ha definito “il più riuscito tentativo di presentare un’etica davvero cristiana”.
Nello stesso anno la chiamata di Giovanni Paolo II ti portava a Roma per essere il padre del nuovo Istituto di studi sul matrimonio e la famiglia. Era il 13 maggio. Lo stesso giorno nasceva il Pontificio Consiglio per la Famiglia. Il Papa veniva gravemente ferito in Piazza San Pietro. Era anche il giorno della Madonna di Fatima. Hai voluto a lavorare con te Angelo Scola, Stanislaw Grygiel, Livio Melina. E altri nel tempo si sarebbero aggiunti, tra tutti vorrei ricordare Marc Ouellet.
Ci vedevamo spesso. Breve era il percorso tra l’Università del Laterano e le Cappellette di San Luigi, dove abitavo con Scola e dove presto sarebbe nata la Fraternità san Carlo.
Nel 1990 mi hai chiamato a insegnare Metafisica e Gnoseologia nella tua università. La comunione di vita e di pensiero è naturalmente aumentata. Dal ’93 al ’95 sono stato tuo vice-preside. L’Istituto è stato il tuo capolavoro: una vera communitas di studi nella fede. Una fucina di giovani insegnanti, operatori pastorali, ma soprattutto una famiglia dove era sempre acceso il fuoco della ricerca comune.
Nel 1995 il papa ti ha chiamato all’episcopato. Giovanni Paolo II ha voluto che il tuo pensiero diventasse fecondo per tutta la Chiesa attraverso un nuovo profilo di responsabilità. Ho avuto la sorte e il privilegio di passare ore e ore con te per accompagnarti e convincerti a quel passo. Era uno strappo troppo grande? Tu lo hai sofferto come una lacerazione.
Da Ferrara e da Bologna venivi spesso a Roma, soprattutto per la Conferenza episcopale. Il tuo segretario mi avvisava, e cenavamo assieme. Ormai mi ero trasferito in via Boccea. Parlavamo della Chiesa italiana e di quella universale, delle tue diocesi, della Fraternità, di letteratura, musica, poesia, sport, di don Giussani, di don Divo Barsotti. Vedevi in loro due grandi maestri. Il secondo era per te un padre spirituale.
Non mi parlavi mai delle tue malattie, talvolta molto visibili sul tuo volto, mentre mi parlavi spesso delle tue sofferenze spirituali. Ti sei speso per le tue Chiese di Ferrara e Bologna interamente, senza risparmio, innanzitutto nell’intercessione tra Cielo e terra, nella preghiera per i poveri e i sofferenti di cui è ricca la giornata di un vescovo, nello studio e nella predicazione, nella passione per la verità di Cristo. Non sei mai sceso a patti con la mentalità mondana. Lo vedevo anche a Ferrara e a Bologna, dove mi hai chiamato a parlare ai preti e dove ho visto la sobrietà assoluta della tua persona, delle tue abitazioni, delle tue giornate.
Mi hai consacrato vescovo; ti ho scelto perché presidente della Conferenza episcopale regionale. Avrei scelto chiunque occupasse quel posto, ma ero felice che fossi tu. Poi abbiamo vissuto assieme per tre anni l’avventura bella e appassionante dell’episcopato in Emilia-Romagna.
Pro veritate adversa diligere: penso che la frase di Gregorio Magno scelta come proprio motto dal Cardinal Martini ben si potrebbe attribuire anche a te, caro Cardinale. La tua vita è stata luminosa.
Accompagna me e noi tutti ancora, e più efficacemente, verso l’incontro con il Signore.
(Nell’immagine, l’abbraccio dopo la sua ordinazione episcopale, celebrata dal cardinale Carlo Caffarra nel dicembre 2012 – foto Ciol).