Di fronte all’effimero, all’idea che il “per sempre” non esiste, occorre tornare all’esperienza.

Ho visto recentemente un film taiwanese di animazione, intitolato On Happiness Road – Sulla via della felicità, dove la protagonista bambina chiede alla nonna: “Che cos’è la felicità?”. E la nonna risponde: “La felicità non è per sempre”. Da ragazzo, in Gioventù Studentesca, ho imparato una cosa diversa: la fede non riguarda solo la messa della domenica ma è qualcosa che c’entra con la vita di tutti i giorni, soprattutto con gli amici. L’amicizia nata allora prometteva di essere per sempre.
È anche la sfida che cerchiamo di portare, qui a Taiwan, con i ragazzi che incontriamo in università: esiste una amicizia che è per sempre. Una affermazione che inevitabilmente si scontra con il pregiudizio che tutto passa, il “per sempre” non esiste.
Come fare allora con i ragazzi che hanno questa mentalità? Come qualcuno ha fatto con noi quando eravamo giovani: puntando sull’esperienza ed evitando di proporre degli slogan.
Ai nostri studenti all’università proponiamo un incontro chiamato “raggio”. Solo pochi di loro sono cattolici. Durante questi momenti cerchiamo di farli riflettere sulla loro esperienza. Poniamo delle domande e ci aiutiamo a imparare insieme dall’esperienza degli altri. Antonio Acevedo ed io, che teniamo l’incontro, sappiamo dove vorremmo arrivare ma siamo anche aperti e disponibili ad imparare da loro. È importante ascoltare i ragazzi e capire che cosa pensano. Lavoriamo insieme sui temi del libro di don Giussani, Il senso religioso, partendo dalle esigenze profonde, ultime del cuore dell’uomo: felicità, bellezza, amore, verità, giustizia. Anche se spesso i ragazzi ragionano come il mondo ha loro insegnato, quando vengono sollecitati a partire dalla loro esperienza sono capaci di imparare dalla realtà. E anche noi dobbiamo imparare a fare le domande giuste.
L’anno scorso chiedemmo agli studenti di raccontare degli episodi di “stupore” di fronte alla realtà. Speravamo che parlassero della bellezza del creato che ci fa chiedere: da dove viene? Chi me lo ha donato? Invece, i ragazzi parlarono di cose bruttissime, che li avevano impauriti, perché in cinese ci sono tanti modi per dire “stupore”, alcuni positivi, altri negativi.
Quest’anno, parlando di “bellezza” e di “amore”, volevamo sollecitarli a fare il percorso proposto dal decimo capitolo de Il senso religioso. Memori dell’esperienza passata, abbiamo cambiato la domanda, sostituendo quella precedente, “quando ti sei stupito di qualcosa?”, con una nuova: “Che esperienza hai del contatto con la natura?”. Avevamo paura che nessuno avrebbe detto cose interessanti, così ci eravamo preparati degli esempi: andare in montagna, vedere il cielo stellato, contemplare il mare… Inaspettatamente, tutti hanno fatto degli esempi molto concreti: chi in montagna si era sentito grande e piccolo allo stesso tempo, chi aveva fatto il sub ed era rimasto colpito dal fondale del mare, chi aveva ammirato un tramonto, eccetera. Una ragazza ha detto: “Ma questa bellezza! Se non ci fossi io a vederla, sarebbe come se non ci fosse”. Era un altro modo per dire che “l’uomo è quel livello della natura in cui la natura prende coscienza di sé”. Un’altra ragazza ha chiesto: “Che cosa c’entra la bellezza con l’amore?”. E ha risposto da sola: “Sono due strade che portano alla stessa destinazione: Dio”.

 

(Paolo Costa, sacerdote dal 2003, è viceparroco di St. Paul a Xinzhuang (New Taipei City) e insegnante di italiano presso l’Università FuJen. In alto, due studenti taiwanesi durante un viaggio in Italia.)

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