La testimonianza di una letizia che nemmeno le persecuzioni in Iraq possono distruggere.

Nella periferia di Roma, non lontano dal centro della Fraternità san Carlo, vivono le suore caldee “Figlie di Maria Immacolata”, provenienti dall’Iraq. Sono stata loro ospite per due anni, quando l’esperienza delle Missionarie di san Carlo muoveva i primi passi. Nel 2007, quando si unirono a noi altre ragazze, il piccolo appartamento non bastava più. Ci trasferimmo così nella nostra casa attuale, alla Magliana, ma l’amicizia con le suore non ha mancato mai di accompagnarci in questi anni, fino ad oggi. Negli ultimi mesi ci siamo riavvicinate alla loro casa, per condividere con loro il dolore della persecuzione in atto contro il popolo iracheno, a cui appartengono.
Suor Luigina Sako, la superiora, è nata e cresciuta a Mosul, a nord dell’Iraq, la città cristiana per eccellenza di questo paese. Ci ha raccontato che da duemila anni il cristianesimo vive in quelle terre fertilissime, nella culla della civiltà mesopotamica, e da tre mesi Mosul è vuota di cristiani.  I luoghi dove lei e suo fratello Luigi – oggi Patriarca dei Caldei – sono cresciuti, il convento dove lei ha incontrato per la prima volta le suore e dove è nata la sua vocazione, le scuole, le parrocchie, le opere di carità sono stati devastati. La loro gente, i familiari, gli amici sono ora sfollati in Kurdistan, così come le loro suore.
Ricordo in particolare il volto giovanissimo di suor Angela, che abitava con me e Elena mentre eravamo ospiti da loro. Aveva poco più di vent’anni, era a Roma per studiare pedagogia e le bruciava nel cuore un grande desiderio di tornare in Iraq, a servire la sua gente. Così è stato, ed ora è anche lei tra coloro che sono fuggiti dalle loro case il 10 agosto scorso. Quando suor Luigina, pochi giorni dopo questo ultimo esodo, mi ha detto al telefono che anche Angela era tra quella gente, tutto per me è cambiato: il suo volto conosciuto e amico, in mezzo a quei 160.000 cristiani in fuga che io non conosco, mi ha di colpo avvicinato la loro situazione. Abbiamo cominciato a pregare intensamente per le suore e per il loro popolo.
Anche suor Iman, che è siriana, ci ha aggiornate: da tre anni cerca di contattare il fratello in Siria, senza riuscirci. Non sa più nulla di lui. Partecipare da qui alla guerra nel suo paese le ha tolto tantissime forze. Solo gli occhi sono rimasti gli stessi di quando l’abbiamo conosciuta, insieme alla gentilezza e alla ospitalità con cui ci accoglie sempre. Guardarla mi ha suscitato una domanda: io saprei portare la stessa situazione con tanta fede?
In quest’ultimo mese siamo state più volte a trovare le suore e a parlare con loro. Ci hanno raccontato tante storie tra quelle che stanno avvenendo, aggiornate dalle telefonate quotidiane del Patriarca. Le suore ci hanno dato delle strade per giudicare ciò che sta succedendo, abbiamo pregato con loro, abbiamo pranzato con loro. Due cose soprattutto mi sono rimaste da questi incontri. La prima è stato vedere come, pur avendo costantemente nel cuore e negli occhi la tragedia del loro popolo, abbiano saputo chiedere di noi, col desiderio ancora di partecipare alla nostra vita, e abbiano voluto anche raccontarci di come va la loro semplice vita a Roma; tutto con tanta letizia. La seconda cosa che mi ha colpito è la loro preghiera per i persecutori, «perché il Signore tocchi i loro cuori». Non c’è rabbia dentro il loro grandissimo dolore, ma preghiera.
Suor Luigina in questi anni mi ha ripetuto più volte: «Noi siamo figlie di Abramo, perciò il nostro compito è quello di custodire la sua fede. Voi siete figlie di Pietro e Paolo: dovete essere degne dei vostri padri!». La loro testimonianza è una luce che porteremo con noi per sempre.
(foto Francesca Cappa – flickr.com)

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