Viaggiavano spediti su un ponte del Delaware esposto alle raffiche di vento che vengono dall’oceano, e Steve istintivamente ha preso il braccio di Father Antonio: «Rallenta, ti prego, ricordati che ho sei figli!». Antonio gli ha risposto senza battere ciglio: «Ma io ne ho molti di più!». Soltanto una battuta, si dirà. Ma a Steve la risposta è rimasta impressa a distanza di anni e la racconta per spiegare il tratto che più lo commuove del suo rapporto con la Fraternità san Carlo, la paternità, la capacità di accompagnare con discrezione i figli nella strada verso il destino. Un genio educativo che rispetta la libertà, provocando sulle ragioni delle cose, senza imporre prontuari e regolamenti precostituiti, un moto paterno che colpisce anche chi crede di sapere già cosa significa essere genitori.
È padre, ma si sente figlio, oggetto di quella capacità di “generare uomini” che è molto più di un fatto biologico. Steve Brown ha un viso bonario, di quelli che è difficile immaginare arrabbiati, e nel suo continuo domandare si scorge senza fatica la curiosità pura dello scienziato. Insegna ingegneria meccanica alla Catholic University of America di Washington e talvolta, durante la conversazione, tira fuori qualche espressione in un bell’italiano colto, appena arrotondato dall’accento americano, eredità dei suoi anni di insegnamento all’università di Padova. È abituato a ricavare leggi astratte dai dati sperimentali, ma della Fraternità san Carlo non riesce a parlare con formule generali, gli vengono alla mente soltanto circostanze particolari, volti precisi e insostituibili. Quando racconta della sua amicizia con alcuni dei preti di Washington gli si accende negli occhi un nonsoché.
È innanzitutto l’umanità delle persone ad averlo affascinato. Spiega che i suoi amici della casa sono l’immagine di una vita felice, vissuta pienamente, capace di riconoscere la presenza di Cristo in qualunque cosa, da una cena fra amici a una conversazione sugli aspetti più drammatici del vivere. Una vita che può aprirsi come un compasso, perché è puntata saldamente nella memoria di Lui. Parla del rapporto con i preti innanzitutto come un’esperienza di libertà, un respirare a pieni polmoni, che è il riflesso esistenziale del continuo stare in compagnia di Colui che dà la vita e il respiro ad ogni cosa, come dice san Paolo. Ed è innanzitutto nel rapporto con la sua famiglia che Steve vede i frutti di questa compagnia, in particolare nel modo in cui lui e la moglie guardano il piccolo Carlo, che ha la sindrome di Down.
A voler analizzare, Steve potrebbe essere una specie di uomo immagine del sogno americano, con tutte le sue illusioni di autosufficienza: studi nelle migliori scuole del Paese, una distinta carriera accademica, famiglia numerosa, una casa con giardino nella quiete suburbana di Washington, dove i vicini di casa si salutano con diligente cordialità. Ha anche un posto di responsabilità nella comunità di Cl. Perciò fa una certa impressione il modo umile con cui si mette al seguito degli amici che riconosce più avanti di lui nel cammino della vita adulta, anche lui figlio in cammino sulle tracce del padre, in mezzo a un mondo che invece gli suggerisce di sostare e di farsi bastare quel che ha.
foto di PlanPhilly