La comunione aiuta a scoprire che la fede cambia la vita: una testimonianza da Torino.

Abbiamo spesso constatato che le famiglie, pur partecipando ai gesti della comunità, rimanevano isolate le une dalle altre. Quattro anni fa, abbiamo lanciato l’idea di costituire dei gruppetti per aiutarsi nel cammino di fede. Noi sacerdoti ci saremmo impegnati per  accompagnare il loro itinerario. Sono nate così piccole comunità che si aiutano a vivere il mistero della vita. Si trovano una volta al mese per raccontarsi la loro quotidianità, per cercare di scoprire come Gesù cambia in meglio l’esistenza. Non potevamo certo immaginare quanto questa intuizione sarebbe stata decisiva durante la pandemia.
Appena è stato possibile, memori della comunione vissuta, si sono organizzate per passare un periodo di riposo e condivisione in montagna, desiderose di ritrovare la bellezza della natura e delle relazioni, il piacere di far giocare i bambini insieme, all’aria aperta, la gioia di guardarsi finalmente negli occhi, e anche di pregare insieme.
A settembre, quando sembrava che ormai tutto fosse superato, è stato invece chiesto un altro sacrificio, in qualche modo ancora maggiore. Scuole chiuse, bambini e ragazzi a casa in una didattica a distanza spesso logorante, ritmi lavorativi intensi.
E così, anche quando negli ultimi mesi tutti quanti sono dovuti restare chiusi per un tempo più lungo, questi piccoli gruppi hanno deciso di continuare a sostenersi nell’accudire i bambini, nel fronteggiare problematiche economiche o semplicemente nell’aiutarsi a rialzare lo sguardo dopo una giornata pesante, con una telefonata, una passeggiata, o talvolta anche solo un breve saluto dal balcone. Un caso mi è rimasto particolarmente impresso. In una di queste famiglie si sono ammalati tutti di Covid. L’ASL telefonava tutti i giorni per chiedere notizie e per invitarli a rimanere separati. Come questo fosse possibile, disponendo di una sola cucina e di un solo bagno, rimane avvolto nel mistero. La mamma era a letto con quaranta di febbre, senza poter fare nulla. Grazie a Dio, sono tutti guariti. Quando ci siamo rivisti, lei ci ha confidato: “Senza il sostegno degli amici, che mi hanno chiamato tutti i giorni, non ce l’avrei mai fatta”.
In una città come Torino, la solitudine è il cancro che uccide di più. La crisi sanitaria ha centuplicato questo dramma. Ecco perché queste piccole fraternità sono un faro di speranza, non solo per chi vi partecipa ma anche per quanti, spesso senza saperlo, sono in cerca di una compagnia. Ci ha raccontato un’altra mamma: “Ho un amico a cui sono affezionata e per cui prego molto, ci frequentiamo nella scuola di teatro che è una comune passione. Lui non è battezzato e una volta mi ha detto di non sapere nemmeno fare il segno della croce.
Durante il primo lockdown, il giorno di Pasquetta, ha suonato al citofono, ci ha chiesto di salire e, senza aspettare di essere invitato, è entrato in casa, si è seduto e ci ha detto che aveva bisogno di vedere delle facce. Mi ha molto commossa: il giorno dell’Angelo, il Signore mi ha mandato un pagano a ricordarmi che abbiamo bisogno gli uni degli altri”.

 

Gianluca Attanasio, parroco di Santa Giulia a Torino. Nell’immagine, un incontro con i giovani in parrocchia (luglio 2018).

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