Per essere misericordia di Cristo occorre che entriamo nel paradosso dell’amore, per cui la vera forza appartiene al debole, che salva chi presume di essere forte e ignora la propria debolezza. Questo ci insegna che nella nostra vita sacerdotale dobbiamo mettere in preventivo anche le sconfitte e che il successo e la carriera non sono criteri adeguati per giudicare la verità e la grandezza della nostra vocazione. Di più, ci insegna che siamo chiamati a lasciare che il paradosso della carità dia forma, cioè unità, alla nostra vita.
Possiamo contraccambiare l’amore di Cristo amando i nostri fratelli. In loro troviamo Cristo e possiamo così rispondere con amore libero e totale all’amore libero e totale di Cristo. Perché il nostro amore sia totale occorre che desideriamo e domandiamo di diventare misericordiosi come il Padre (cfr. Lc 6,36). Oltre che attraverso la preghiera esplicita, lo chiediamo in tre forme diverse.
Anzitutto nella domanda che il nostro amore all’altro sia verginale, cioè nella domanda di non ridurre l’altro ai suoi limiti e alle sue doti, alla somma dei suoi peccati e delle sue virtù, al suo potere o alla sua debolezza. Amare l’altro verginalmente vuol dire amarlo così come egli è, semplicemente perché è. L’altro, in quanto è, è di Cristo, è fatto per Cristo.
Vivere questo amore significa abbracciare il sacrificio di guardare l’altro in Cristo e non secondo i nostri parametri. Vedendolo in Cristo, lo possiamo amare in Lui e in Lui possiamo perdonarlo. Lo accogliamo, lo ammettiamo a far parte di noi anche quando ci stesse uccidendo. Guardando l’altro in Cristo troviamo la pazienza per accompagnarlo nella strada della sua santità, anche se ciò significasse semplicemente aiutarlo a trovare la forza di non suicidarsi.
Amare verginalmente, nel senso ampio del termine, vuol dire amare tutto e tutti con lo stesso amore di Cristo, che sa che tutto gli è dato dal Padre e che il suo compito è riportare ogni cosa al Padre. Si tratta di un amore molto concreto, la cui verità si gioca nelle amicizie, nel rapporto con i beni che possediamo, con i nostri genitori, con le persone dell’altro sesso, con tutti gli uomini e le donne che incontriamo nelle diverse circostanze della vita. Dobbiamo domandare di essere dominati dalla stessa affezione che animava Cristo, affinché le persone che incrociamo, sentendosi amate da noi, scoprano di essere amate da Lui.
In secondo luogo, perché il nostro amore sia totale, occorre che non ci difendiamo, che lasciamo che l’altro abbia potere su di noi. Può darsi che lui se ne approfitti, ma non importa, perché l’amore è al di là di ogni calcolo. L’invito a questa disponibilità non vuole essere un’esaltazione della mancanza di personalità. Lo si capisce pensando al Figlio di Dio, che non si è difeso davanti a chi lo oltraggiava, lo flagellava e gli dava la morte, ma pregava il Padre chiedendo il perdono per i suoi persecutori. La disponibilità di Cristo non ha nulla a che vedere con la mancanza di ragionevolezza. Al contrario, ci insegna che la verità dell’amore sta nell’affermazione senza fine dell’altro.
Chi dà la vita e salva è il Padre, che unisce tutti a sé in Cristo attraverso lo Spirito. Le nostre opere di carità devono pertanto essere informate dalla carità, non dalla ricerca del successo né dalla preoccupazione di raggiungere certi livelli di efficacia. Questo vuole dire accettare di essere indifesi per il nome di Cristo. A causa mia, dice Gesù (Mt 16,24). È la ragione che rende forte il debole, anche se egli resta piccolo agli occhi del mondo.
In terzo luogo il nostro amore si conforma alla misericordia di Cristo in virtù della partecipazione all’Eucaristia, incontro fra Dio e l’uomo. Nell’Eucarestia avviene il miracolo per cui “il nulla” salva il mondo. Dio prende carne sempre e solo attraverso le nostre povere parole, quando celebriamo la messa nelle nostre chiese. Lo fa per permetterci di riceverlo, affinché siamo anche noi in Lui e non soltanto Lui in noi. Questa unità, questa comunione fisica e mistica è permessa per la nostra letizia e perché l’amore di Cristo possa raggiungere il mondo anche attraverso la nostra carne trasfigurata.
Nell’immagine, particolare della copertina del libro «Chi ha visto me ha visto il Padre», edito da Itaca.