Cristo sazia la fame del cuore dell’uomo attraverso ogni cristiano: una meditazione sulla missione

Voi stessi date loro da mangiare (Mc 6, 37). Il senso della missione è tutto dentro l’episodio della moltiplicazione dei pani e dei pesci operata da Gesù, quel giorno in cui si trovava in un luogo lontano da ogni centro abitato, assieme ai suoi discepoli e a una enorme folla di persone accorsa per ascoltarlo parlare.
Voi stessi date loro da mangiare. In questa frase è condensato il compito che Dio ci affida, che affida a ciascun cristiano: laici, famiglie o preti che siano.
Pensiamo per un attimo ai discepoli, mentre guardano quella folla che segue Gesù e che lo ascolta. In cuor loro, speravano di poterla congedare in fretta così da mangiarsi quei pani e quei pesci che avrebbero potuto a malapena dividersi tra loro. Così, chiedono a Gesù di lasciare andare quella gente, perché potesse trovare, lontano da lì, qualcosa con cui sfamarsi. Invece Gesù dice loro: “Pensateci voi. Non lasciate che vadano a cercare il cibo da chiunque, dateglielo voi.”
Il ragionamento dei discepoli è spesso anche il nostro stesso pensiero. Quante volte ci rendiamo conto della fame che agita e inquieta le persone che incontriamo o che conosciamo da tanto tempo? Quante volte vorremmo che qualcuno possa saziare questo desiderio? E quante volte, invece, dobbiamo prendere atto del deserto di risposte che circonda noi e le tante persone che incontriamo? E ci investe immediata la consapevolezza di un compito assolutamente sproporzionato rispetto alle nostre forze. Gesù, però, ci sorprende e ci dice: “Pensateci voi.”
Che cosa vuol dire, allora, per noi, quella frase: “Date loro voi stessi da mangiare”?
Significa, prima di tutto, che Gesù ci vuole rendere partecipi della sua opera di salvezza: è Cristo colui che sazia la fame del cuore dell’uomo, eppure ha deciso di farlo attraverso di noi. Ci vuole corresponsabili della sua missione, desidera che sentiamo urgere in noi la stessa passione che muove Lui. È come se ci dicesse: “Se non ci pensate voi a dare loro il pane che io solo posso dare, ci penserà il mondo a sfamarli con il suo pane, con le sue parole, con la sua ideologia. Se non sarete voi a condurli a me, il mondo li condurrà a sé.”
“Dare loro da mangiare” significa, quindi, portare Cristo alla gente che incontriamo, attraverso l’annuncio, l’educazione, la carità, la testimonianza – personale e comunitaria – di una vita cambiata dall’incontro con Lui e che genera un giudizio nuovo sulla propria vita e sulla realtà.
Significa, poi, portare loro quel nutrimento che solo Lui può dare, attraverso i sacramenti: il battesimo, la confessione, l’Eucaristia.
“Dare loro da mangiare” significa, però, anche dare qualcosa di noi agli altri, vuole dire spendersi per loro, sacrificarsi per la salvezza delle persone che incontriamo: Cristo non salva l’uomo senza che noi abbandoniamo le nostre paure e ci offriamo come strumento perché Lui possa saziare la loro fame di senso e di felicità. Questa è la legge dell’esistenza: il dono di sé. Fate questo in memoria di me (Lc 22,19), dice Gesù, che significa: sacrificate la vostra vita come io l’ho sacrificata per voi.
La nostra vita è fatta per qualcosa di grande e perché porti frutto, occorre donarsi. È questo il senso della famosa frase di Paul Claudel: «A che vale la vita se non per essere data?». Per questa ragione, il modello di ogni cristiano è il martire. Se questo è vero per i preti, chiamati ad offrire ogni giorno se stessi assieme a Cristo nel sacramento della messa, non di meno lo è per ogni cristiano, per ogni battezzato, chiamato a riconoscere che ogni istante della nostra vita è fatto per essere donato.
Ed è vero, in modo particolare, per le famiglie: come dice san Paolo, i due sposi si offrono l’uno all’altra allo stesso modo con cui Cristo offre se stesso alla Chiesa, donandosi anche ciò che hanno di più intimo, il proprio corpo. La famiglia è, in questo senso, la vocazione che più aiuta a capire qual è il compito di ogni cristiano: perché non c’è momento della giornata, da quando mi sveglio al mattino e accanto a me c’è mio marito o mia moglie, a quando torno a casa e trovo i miei figli, fino a quando penso alle mie vacanze, che non sono mai solo “mie”, ma “nostre” – e così vale per il mio lavoro e il mio tempo libero – in cui la vita mi chiede di essere donata, richiamandomi al fatto che niente di ciò che ho è solo per me, ma tutto mi viene dato perché io lo offra per qualcun altro.
È bello, infine, leggere come termina il racconto evangelico della moltiplicazione dei pani: quando tutta la gente ha finito di mangiare, avanzano ancora dodici ceste e dodici è il numero degli apostoli… Proprio loro che avevano paura di rimanere a digiuno, di vedersi sottratti anche quei cinque pani e due pesci che volevano tenersi gelosamente per sé, si ritrovano con un’intera cesta ciascuno! È la descrizione della vita promessa ad ognuno di noi: chi ha incontrato Cristo, non ha più paura di perdere nulla, perché ha già ricevuto tutto con Lui ed è pronto a spendersi senza calcoli, offrendo tutto di sé senza timore, con la certezza che chi dona lietamente e di cuore, riceve da Dio cento volte tanto.
In questo consiste la missione e la sua bellezza.

 

Nell’immagine, gita dei parrocchiani di Annunciazione di Maria Vergine, affidata a Vienna alla Fraternità san Carlo.

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