Perché facciamo tutto questo

La missione della Fraternità San Carlo a Nairobi: quasi trent’anni di cammino nelle parole di don Giuliano, don Daniele e don Mattia.

Processione del Corpus Domini per le vie di Kahawa Sukari (Nairobi).
Processione del Corpus Domini per le vie di Kahawa Sukari (Nairobi).

Anno di grazia 2025. È domenica e nella periferia di Nairobi, a Kahawa Sukari, vi è grande fermento intorno alla parrocchia St. Joseph guidata dalla Fraternità sacerdotale San Carlo Borromeo. Qui, in quest’area fortemente polarizzata, dove bastano un muro o un vicolo a separare l’area residenziale della popolazione più benestante da quella più fragile, la presenza della San Carlo è un punto fermo per la gente del luogo. Oggi a Nairobi vivono cinque sacerdoti della Fraternità. Abbiamo chiesto a tre di loro – don Giuliano Imbasciati, don Daniele Bonanni e don Mattia Zuliani – di raccontarci cosa rende possibile tutto questo. Ci hanno risposto: la scoperta, giorno dopo giorno, che solo Cristo rende ragione della vita, in Kenya come ovunque.

A raccontare gli inizi è don Giuliano. “Prima del 1998 lì non esisteva nulla. Furono gli abitanti a desiderare un luogo dove pregare e ritrovarsi. Comprarono un terreno con grossi sacrifici per costruire una cappella di lamiera, che venne affidata alla San Carlo”. Oggi al suo posto vi sorge una chiesa che, spiega don Giuliano, accoglie ogni domenica oltre tremila persone. E sono nati un asilo, una scuola, un piccolo ospedale e ora una seconda cappella. L’asilo Emanuela Mazzola e la scuola primaria Urafiki Carovana School accolgono centinaia di bambini e ragazzi. Don Mattia Zuliani, direttore e insegnante, spiega: “I genitori si sono fidati del nostro metodo educativo, che si ispira a quello di don Giussani. E cioè una proposta che guarda al cuore del bambino, ne valorizza i talenti e l’unicità. Ci scelgono perché riconoscono il bene che si respira”.

Desideriamo la santità per noi e per chi incontriamo

Un bene che, da qualche anno, si estende fino alle scuole medie, con una proposta formativa più strutturata, accessibile a tutti anche grazie a borse di studio. “Nelle nostre scuole non esistono test d’ingresso. Investiamo sugli insegnanti di sostegno perché anche i bambini con disabilità possano avere un luogo dove sentirsi amati e poter crescere. E da ciascuno di loro impariamo”. Un esempio? “Abbiamo un’alunna paralizzata per via di un incidente, intelligentissima. Un giorno, mentre era in costruzione una nuova area dell’istituto, un autista dello scuolabus ci fa notare che c’è un gradino che le renderebbe impossibile entrare. Nessuno se n’era accorto. Abbiamo cambiato in corsa il progetto, perché la scuola è un organismo vivente, dove continuamente ci si aiuta e ci si corregge”. Il segno più bello, dice poi, “sono gli ex alunni che tornano chiedendo di poter insegnare proprio qui”.

Ma l’educazione non è l’unico cuore di questa missione. Don Daniele Bonanni è impegnato nell’ospedale St. Joseph, struttura con oltre 1200 pazienti al mese, situato nella parte più povera e popolosa del quartiere. “Cerchiamo di garantire cure accessibili: un dispensario per le medicine, dentista, psicologo, fisioterapista, ginecologi. Ma non vogliamo che diventi assistenzialismo. Ad esempio tutte le donazioni che riceviamo le usiamo per sostenere la carità, non per pagare gli stipendi o le medicine. Perché le nostre opere devono poter camminare anche senza di noi”. Oltre all’assistenza ai malati di Aids è nato anche il programma pro-life per sostenere giovani donne incinte, spesso sole. Un altro progetto, Ujachilie (in swahili: “lasciati fare”), è rivolto a mamme di bambini con disabilità. Ogni settimana, insieme alle suore missionarie della San Carlo, c’è uno spazio di gioco, preghiera e compagnia per loro. Accanto all’assistenza medica. “In questi anni qualche donna ha deciso di battezzarsi e di battezzare il proprio figlio. Hanno intuito l’origine degli aiuti che ricevono, e cioè Cristo”. Racconta di Jeff, sulla sedia a rotelle da quando è nato. Partecipa agli incontri del CLU (CL universitari), una trentina di ragazzi che si ritrovano per pregare, stare insieme e fare caritativa nello slum di Matare. “Una sera dopo aver visto il film La vita è meravigliosa ho chiesto loro se pensassero che la vita è realmente così. Jeff ha risposto con slancio: «Sì! La mia vita è bella perché ho tanti amici»”. Don Giuliano è grato di questi anni di missione: “Non è sempre stato facile, ho sofferto a volte la partenza di alcuni confratelli, ma tutto è stato occasione di conversione”. Don Mattia gli fa eco: “Perché facciamo tutto questo? Credo sia per essere felici. E perché desideriamo la santità, per noi e per chi incontriamo”.

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