Nella nostra parrocchia abbiamo proposto ai giovani di unirci alla bellezza del Giubileo “Pellegrini di Speranza” con un pellegrinaggio verso la Porta Santa nella cattedrale della nostra città, Asunción.
Il tema della vocazione, inteso come rottura di un “io” chiuso nei propri meriti ed esposto davanti a un “Altro” che non si stanca mai di chiamare, è stato il filo conduttore durante i diversi chilometri che abbiamo percorso verso quella porta che accoglie e attira tutte le persone: la Porta Santa, la Chiesa.
Mi ha piacevolmente sorpreso che, davanti a un invito aperto a tutti, si siano avvicinati quasi 200 giovani; in silenzio e in un’atmosfera di raccoglimento, hanno ascoltato le meditazioni e si sono lasciati guidare dalla preghiera del Rosario sotto il sole tiepido della nostra città.
I criteri del mondo spesso ci impediscono di percepire gli argomenti che Cristo ha ancora da offrire per dare un senso alla nostra vita.
Dalle rive del fiume Paraguay si scorge il centro della città, sempre più esteso, che quasi nasconde la cattedrale. Questo tempio fu costruito in un luogo pensato per essere sempre visibile, ma l’architettura moderna ha cancellato quell’intenzione, fondendosi con l’idea di un mondo che rende invisibile la Chiesa. “Non è un problema estetico, è una cultura che ha catturato anche me”, mi ha detto quasi con gioia un giovane che ha compreso il senso di ciò di cui parlavamo.
I criteri del mondo spesso ci impediscono di percepire gli argomenti che Cristo ha ancora da offrire per dare un senso alla nostra vita. Credo che, in questa giornata condivisa, la realtà abbia prevalso sulle parole.
D’altra parte, pensavo alla grande pedagogia della Chiesa che continua a puntare sulla tradizione. Il giubileo, di per sé, mi ha riempito di speranza: da una parte, vedendo giovani aperti e bisognosi della parola di conforto che solo Cristo e il suo Vangelo possono offrire; dall’altra, constatando che ciò che abbiamo vissuto ha ancora parole per il mondo intero.
Una giovane mi ha confidato: “Non ho capito tutto, ma ogni volta che menzionavi Gesù con il microfono, in un luogo pubblico, senza vergogna e con abbastanza energia perché tutte le persone ascoltassero, pensavo: «Deve essere vero»”.