Questo piccolo libro raccoglie due lezioni che un grande amico e fratello – don Andrea D’Auria, esperto e docente di Diritto canonico – ha tenuto ad alcuni giovani preti della Fraternità san Carlo. I temi dei due interventi sono il silenzio e la vocazione. Questioni tutt’altro che clericali, che toccano tutti gli uomini e le donne del mondo.
Oggi si cerca molto il silenzio. Talvolta lo si confonde con lo stordimento o con la dimenticanza di sé attraverso pratiche psichiche derivate dall’Oriente. Il vero silenzio non è dimenticanza, è conoscenza. Conoscenza di noi stessi. Anche se, alla fine, di noi possiamo solo sapere che siamo bisogno di infinito e poveri peccatori, incapaci spesso di vederlo e accoglierlo.
La vocazione, in queste pagine, è riferita alla chiamata al sacerdozio ordinato. Essa, in realtà, è una parola che riguarda tutti. C’è una «voce» (da cui «vocazione») al fondo del nostro essere che ci chiama a vivere riconoscendo il bene e il male, il vero e il falso, il giusto e l’ingiusto, il cui discernimento alberga nella nostra coscienza. È la stessa voce che ci ha chiamato alla vita. Basti questo per suggerire la lettura di queste pagine a tante persone.
Ora, però, desidero riflettere con voi sul mistero della vocazione sacerdotale.
Nella mia vita ho incontrato tante vocazioni felici e realizzate. Tra queste colloco certamente tanti sacerdoti da cui ho imparato molto, che mi hanno colpito a causa della loro passione per la vita di Dio e quella degli uomini.
C’è infatti nella vocazione sacerdotale un continuo percorso fra la terra e il Cielo, tra gli uomini e Dio. Essa nasce in continuità con la vocazione di Gesù, il Figlio di Dio che ha accettato di diventare uomo per mostrare agli uomini, con le sue parole e con le sue azioni, ma soprattutto con il suo modo di rapportarsi a loro, le strade che ci permettono di vivere bene sulla terra e di guadagnare la vita eterna.
La vocazione presbiterale nasce spesso dal desiderio dei giovani di vivere ciò che vedono in altri sacerdoti. La vita bella, semplice, realizzata in una donazione che nasce dal dialogo continuo con Dio, è la fonte primaria della vocazione sacerdotale. Se è fondamentale ricordare che è l’intera comunità cristiana il soggetto di un’educazione alla vita come vocazione, «resta ovvio, tuttavia, che i primi a doversi sentire interessati alla pastorale vocazionale sono gli stessi chiamati al ministero ordinato e alla vita consacrata: con la gioia di un’esistenza completamente donata al Signore essi renderanno concreta e stimolante la proposta della sequela radicale di Gesù, manifestandone il sorprendente significato» (Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti al congresso «Nuove vocazioni per una nuova Europa», n. 3).
Ciascuno di noi sacerdoti deve chiedersi, per sé e per gli altri: che cosa sto vivendo? Emergono dalla mia vita la gioia e la serenità che nascono seguendo Gesù? Custodisco tempi nella giornata interamente dedicati al dialogo con Lui e alla preghiera? Ma soprattutto: emergono con chiarezza quali sono le ragioni e i compiti fondamentali della vita presbiterale?
Il sacerdote è un uomo di Dio: egli porta in sé i fili della storia dell’uomo, le preghiere espresse e inespresse, i dolori, le ferite, le attese, le domande, i sacrifici. Il sacerdote è Mosè che tiene alzate le braccia tra il cielo e la terra (cfr Es 17, 11). Una vita infiammata dalla passione per la gloria di Cristo nel mondo e per la salvezza degli uomini.
Andrea D’Auria
L’orizzonte
della nostra esistenza
Ascoltare, nel silenzio,
la propria vocazione
Edizioni Ares 2022