Produrre una pasta di qualità è una sfida ardua e paziente. Occorre saper bene impastare semola e acqua. È il risultato di un lento e delicato processo di essiccazione e di trasformazione, dal semplice chicco di grano che muore nascosto nella terra fino a diventare un piatto prelibato, apprezzato e gustoso. Così come è un compito audace e impegnativo educare, in particolare i cosiddetti “ragazzi difficili”.
Negli ultimi mesi, diversi fatti di cronaca hanno riempito le prime pagine di giornali e telegiornali, di talk show e dibattiti televisivi. Nella maggior parte dei casi, i protagonisti erano minorenni. E le istituzioni, a diverso titolo, con tentativi più o meno lodevoli, hanno cercato di far fronte a tale emergenza.
Per l’esperienza di questi anni come cappellano del carcere minorile di Roma, posso attestare che un ragazzo che viene arrestato in quanto autore di un reato è come una nave alla deriva che avanza senza più timoniere, senza più controllo, sballottata di qua e di là dalle onde fino a impattarsi contro la parete rocciosa della scogliera che la distrugge in mille pezzi. E gli operatori del carcere devono rimettere al loro posto i diversi pezzi. È un lento e paziente lavoro di riassemblaggio.
Nell’impatto con il carcere, un ragazzo non rimane mai indifferente. È sempre un luogo di sofferenza, di privazione e di solitudine, è un luogo che rischia di cambiarti in peggio. Sappiamo tutti fin troppo bene quanto sia alto il rischio che gli effetti negativi della detenzione siano maggiori dei benefici: se quel tempo non è riempito di significato e di senso, il carcere diventa una scuola dove imparare a delinquere di più e meglio. Le regole sono necessarie ma da sole non bastano. Occorre qualcosa in più, opportunità nuove che spesso, prima, non si erano presentate.
C’è un imperativo bisogno nei cuori dei giovani di avere un punto di riferimento
Di una di queste opportunità sono stati resi partecipi alcuni ragazzi e ragazze, detenuti ed ex-detenuti, nel carcere minorile di Casal del Marmo: dal maggio scorso, hanno iniziato a lavorare presso un pastificio sorto all’esterno della zona detentiva, dove sorgeva una vecchia palazzina abbandonata da tempo. Il 10 novembre scorso è stato inaugurato Pastificio Futuro, un progetto di produzione di pasta corta secca, per offrire ai ragazzi un lavoro vero e proprio, sorto grazie all’impulso di papa Francesco nel 2013, durante la sua prima visita all’Istituto di pena. “Non lasciatevi rubare la speranza” fu l’invito rivolto allora a quei cinquanta giovani: padre Gaetano, cappellano per lungo tempo a Casal del Marmo, volle raccoglierlo e farne un segno tangibile di fiducia e di speranza, per proporre concretamente ai ragazzi un percorso di vita migliore.
Solo così il carcere può avere anche effetti positivi, può diventare un’opportunità per la vita. Se quel tempo diventa di riflessione, di ripensamento, di rilettura del proprio vissuto, della propria storia e delle conseguenze del male commesso; se riaccende un desiderio, forse prima assopito o sotterrato, mai scomparso, una voglia di vita e di un futuro diverso. Ci sono ragazzi che rinascono perché incontrano un calore, un amore e un’attenzione che prima erano mancati.
Ecco perché la pasta è come i nostri ragazzi: va scolata al momento giusto, né troppo presto, perché altrimenti non è ancora pronta, né troppo tardi, perchè altrimenti è scotta. Occorre avere la sapienza educativa di coloro che conoscono il giusto minutaggio, il punto di cottura della vita e la giusta combinazione degli ingredienti: una relazione autentica, fatta di tanto ascolto, di gratuità, di fiducia nelle capacità del ragazzo, di un interesse reale alla sua vita.
Per educare un ragazzo, così come per produrre una buona pasta, è necessario sporcarsi le mani.