Il compleanno del Centro giovanile di Colle Oppio (una volta si chiamava “Oratorio Sebastiani”) è caduto a maggio, ricorrenza davvero giubilare. Perché fu nel maggio 2000 che il Vicariato, cioè la Diocesi di Roma, diede a don Sergio Ghio la gestione di questo spazio nel cuore della città, ad un passo dal Colosseo e dalla stazione Termini. Del resto, Roma funziona così dal 1300: ogni Anno Santo è l’occasione per la costruzione di cose piccole e grandi. Pochi lo sanno, ma una buona metà dei monumenti della Capitale, quelli della cosiddetta Roma dei Papi, sono stati finanziati o costruiti in occasione di Giubilei: dal Ponte Sisto fino alla Scalinata di Trinità dei Monti. E se possiamo paragonare le cose piccole alle grandi, anche il Centro è dentro questa storia millenaria. Di fede e di mattoni. La racconta anzitutto don Sergio Ghio, piemontese timido e schivo, il prete della Fraternità San Carlo che in Roma ha trovato una città d’adozione e che in tutti questi anni è stato sempre presente: «Il Centro ci venne affidato perché, avendo io iniziato a insegnare nelle scuole era iniziato il rapporto con alcuni liceali della capitale. Quello che ci mancava era un luogo fisso, stabile, nostro. In cui poterci radunare inizialmente per fare quello che chiamavamo il Raggio. Dopo tanto vagare, monsignor Luigi Moretti che all’epoca era vescovo ausiliare per il settore centro della Diocesi di Roma, segnalò la presenza di questo spazio di fatto abbandonato sia fisicamente che come proposta educativa, per noi particolarmente interessante e significativo».
Nell’album dei ricordi del Centro, c’è quella prima messa sul campetto con il vescovo Moretti che dice nella predica: «Tutti i preti romani sanno che continuavo a chiedere perché questo posto dovesse restare così abbandonato… Ora abbiamo trovato una soluzione». Per i primi tre anni il Centro inizia le sue attività nel bel mezzo di un cantiere, ma questo non impedisce che fioriscano i vari ambiti: l’aiuto allo studio, i doposcuola, l’impegno di adulti che, trascinati dai loro figli, riscoprono la gratuità di un servizio. Cantiere di trabattelli e cantinelle (le assi di legno nel gergo romano), ma anche luogo di costruzione esistenziale: universitari e “Papa boys” reduci dall’incontro con Giovanni Paolo II a Tor Vergata si impegnano con grande slancio. Don Sergio è aiutato da altri preti della San Carlo (e più tardi dalle suore missionarie) ma anche da alcuni adulti che scommettono su questa realtà.
Dal 2003 don Sergio è parroco della Navicella, chiesa non lontana da Colle Oppio. È un passaggio decisivo per consolidare la comunità nata con la ristrutturazione del Centro. Dice ancora don Sergio: «Una delle cose più inaspettate che sono accadute è che man mano che i ragazzi si coinvolgevano sempre più totalmente, con l’offerta che gli veniva fatta, anche i genitori hanno iniziato ad affacciarsi, alcuni si sono proprio riavvicinati anche alla Chiesa attraverso i loro figli e via via anche gli adulti hanno percepito quello spazio, quel luogo come un’opportunità per la loro vita e per il loro cammino di fede, per cui anche con gli adulti si è iniziato a offrire la possibilità di incontrarsi e di giudicare il proprio cammino di fede, di cenare insieme, avere delle occasioni di condividere del tempo».
Durante l’anno, la Cena delle Famiglie (convocata ogni 15 giorni) è un punto fisso della vita del Centro: arrivano genitori colpiti dall’entusiasmo dei loro figli, mossi dal desiderio di capire quale fosse poi il motivo di certi cambiamenti repentini. Dice Stefano Alessandrini, presidente dell’Associazione di promozione sociale nata dall’esperienza del Centro: «Ho conosciuto il Centro quando la mia figlia più grande, iniziando le scuole superiori, ha cominciato a frequentarlo. Il mio coinvolgimento è venuto quasi naturale, osservando che ciò che era buono per lei (e poi in seguito anche per i suoi fratelli) poteva esserlo anche per me. Nel tentare di essere di aiuto in qualche modo nella costruzione di quel luogo è nata una amicizia con don Sergio e con altri adulti che mi ha fatto implicare sempre di più. È il luogo in cui l’esperienza cristiana che incontrai tanti anni fa nel movimento di CL mi è stata più intensamente riproposta, vissuta e riversata nel mondo. Il fatto poi che al Centro ci siano persone e famiglie delle età più diverse (alle vacanze si va dai neonati agli ultraottantenni passando per tutte le età) è un’ulteriore possibilità di imparare veramente da tutti, questione non banale per chi, come me, è già avanti negli anni».
Dice Alessandra Pizzi, organizzatrice delle mamme che aiutano la cucina a sfornare pranzi e cene: «L’esperienza del Centro, attraverso il fare assieme e la condivisione della vita nelle varie sfaccettature, dall’educazione dei figli alla testimonianza della fede, mi ha permesso di capire di più che la vita è un compito e chiede di essere offerta nella gratuità. Tutto lo svolgersi della vita può trovare in un luogo come questo, diventato “casa”, il punto affettivo ed educativo che permette ad ognuno, e insieme, di essere accompagnati e sostenuti nel cammino».
«L’esperienza del Centro mi ha permesso di capire di più che la vita è un compito e chiede di essere offerta nella gratuità»
Un altro fenomeno per così dire distintivo di questa realtà è il fiorire di vocazioni. Diversi giovani che hanno animato il centro hanno poi preso la strada del Seminario o del Monastero ma anche in molti hanno costruito una famiglia. Per celebrare i 25 anni del Centro sono arrivate testimonianze da diverse parti del mondo: Grenoble, Chicago, Bogotà, Santiago del Cile, Vitorchiano… Commenta don Sergio: «Hanno via via individuato la loro vocazione. Che cosa il Signore, mettendoli al mondo, chiamandoli all’esistenza, facendogli incontrare con la sua Chiesa, chiedeva in maniera specifica alla loro vita. Se penso a questi 25 anni mi vengono in mente tanti volti e tanti nomi di ragazzi che hanno lasciato Roma, hanno lasciato l’Italia, qualcuno riconoscendo nella vocazione al sacerdozio, nella vita consacrata la propria vocazione, altri riconoscendo nel matrimonio la vocazione a cui sono chiamati e andando letteralmente anche in altri continenti». In una trasmissione di TV2000 a lui dedicata, Eccomi, don Sergio sottolinea la forza del “centuplo quaggiù” in una proposta che sia efficace per i giovani.
Per una realtà così, l’esperienza recente del Covid, dell’isolamento forzato, della solitudine da far diventare un’abitudine, è stata paradossalmente rivelatrice del valore profondo dello stare assieme, del condividere anche fisicamente spazio e tempo. Anche se da allora c’è una maggiore fatica ad incontrarsi. «Ci è chiesta oggi» nota don Sergio, «una pazienza e una instancabilità, più forte rispetto all’inizio: vogliamo e dobbiamo continuare a offrire ai ragazzi e alle loro famiglie, agli adulti, a quanti incontriamo in generale, la possibilità di condividere del tempo insieme, di stare insieme. Perché si può riconoscere Colui che ci unisce e Colui che chiama ciascuno personalmente alla comunione con Lui, alla costruzione della sua Chiesa». Proprio in coincidenza del Giubileo del Centro (“Sergio è d’argento”) è stata annunciata una svolta di questa comunità: don Ghio andrà in Umbria per un nuovo incarico. Mentre nuove energie saranno impiegate dalla San Carlo nel Centro e alla Navicella.
Un messaggio molto affettuoso è arrivato durante le serate della Festa di quest’anno (tema: Il cammino di ogni giorno) da parte del cardinal Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei. “Don Matteo”, come molti lo chiamano, prima da prete e poi da Vescovo romano, ha sempre avuto un rapporto di stima e amicizia con il Centro. In questa occasione ha voluto portare il grazie anche della Chiesa italiana e della Chiesa di Roma. Come si dice in tv: “To be continued…”