L’educazione ricevuta, l’inquietudine giovanile e una fede messa alla prova. Fino all’intuizione di poter “dare tutta la vita”. Sono alcuni degli elementi che accomunano le storie dei tre giovani ordinati sacerdoti missionari della Fraternità san Carlo, sabato 21 giugno a Roma, nella basilica papale di San Paolo fuori le mura. A celebrare la messa il cardinale Baldassarre Reina, vicario del Santo Padre per la Diocesi, insieme al vescovo emerito di Reggio Emilia-Guastalla, Massimo Camisasca, fondatore della Fraternità che trae origine dal carisma di don Giussani, al vescovo di Imola Giovanni Mosciatti e a don Paolo Sottopietra, superiore generale della Fraternità.
A raccontare le tappe e le svolte più significative del loro cammino vocazionale sono stati proprio, in prima persona, i tre sacerdoti novelli, don Tommaso Benzoni, don Andrea La Piana e don Simone Moretti, ordinati insieme a Giovanni Ferrari, diacono. Lo hanno fatto, nei giorni immediatamente antecedenti l’ordinazione, scrivendo le loro storie per il sito della Fraternità, che ne raccoglie anche parecchie altre dalla rivista della San Carlo, Fraternità e Missione.
Nato a Gualdo Tadino, in Umbria, da una famiglia cattolica appartenente al movimento di Comunione e Liberazione, don Simone Moretti si è detto «grato» ai suoi genitori che lo hanno «amato molto» e che gli hanno «trasmesso la fede» fin da piccolo. «Ma crescendo questa fede piano piano si affievolì», ricorda. «Dio sembrava sempre più lontano dalle cose che mi interessavano. Fu l’incontro con Gioventù studentesca, il gruppo giovanile di CL, che riaccese questo rapporto. Mi invitarono alle vacanze estive e ad altri incontri. Ogni volta che andavo, sperimentavo una libertà e una pienezza che altrove non vivevo». Aveva 17 anni, Simone, e sentiva di poter essere sé stesso fino in fondo. «Piano piano ho scoperto che il segreto di tutto questo era la fede. Al centro di quella amicizia c’era Gesù. Dio, che mi era sembrato astratto, era diventato concreto nel volto di Gesù e, in particolare, nei volti di quella compagnia». Un incontro che «infiammò la mia vita». È stato in quel momento che ha pensato, per la prima volta, alla vocazione.
«Se Gesù mi vuole bene, perché non dargli la vita?»
«Se Gesù mi vuole bene, perché non dargli la vita?». Questa domanda è passata per la mente al varesino don Tommaso Benzoni quando aveva circa dieci anni. «Non avrei mai immaginato che quel piccolo sì mi avrebbe portato, circa vent’anni dopo, a Nairobi, dove oggi sono in missione». Anche a lui, nato e cresciuto in una famiglia appartenente al movimento, la fede è stata «trasmessa quasi per osmosi. Se fin da subito accolsi serenamente quel primo segno della vocazione, con il passare del tempo le cose si fecero spesso più complicate. Durante gli anni delle medie, per esempio, non fu sempre facile convivere con questa chiamata che sentivo dentro, al punto che a volte pensavo che fosse qualcosa che non c’entrava con la mia felicità. Temevo che ciò mi avrebbe portato a essere una persona triste e sola, ma non desideravo nessuna delle due cose».
A «ribaltare» questa idea fu, in prima liceo, l’incontro al Meeting di Rimini con lo stand della Fraternità san Carlo. «Osservavo a distanza il volto felice dei sacerdoti e dei seminaristi e mi chiedevo se l’intuizione che mi ribolliva dentro potesse essere, un cammino verso il mio compimento». Verso la fine del liceo, Tommaso decide di parlarne con un amico sacerdote che lo mette in contatto con don Antonio Anastasio, detto Anas, prete della Fraternità san Carlo da poco a Milano. «Mi consigliò di fare l’università perché poteva essere un’occasione per verificare più profondamente quella intuizione». Decide di iscriversi, così, alla facoltà di Design del Politecnico e, una volta ottenuta la laurea triennale, fa richiesta di entrare in seminario, dove viene accolto: «Iniziò un altro bel tratto della mia vita».
Anche per don Andrea La Piana è stato decisivo un dialogo con don Anas, su suggerimento di un amico: è l’ultimo anno di Giurisprudenza, dopo essere passato dall’Accademia militare di Modena, e si sta interrogando sui primi segni della chiamata di Dio, ma anche su alcuni piani che ha in mente per la carriera e, non ultimo, il desiderio di mettere su famiglia. «Dopo avermi ascoltato a lungo – ricorda –, mi ha suggerito una via molto semplice: “Tu continua a fare la tua vita da universitario. Però ritagliati in ogni giornata dei momenti di preghiera, cioè di rapporto e di dialogo personale con Dio”. Questo semplice suggerimento mi ha cambiato la vita. “Io ho altri progetti ma, se davvero vuoi tutta la mia vita, potrei anche starci. Però fammelo capire!”», dice in un dialogo personale con Dio.
«Ho cominciato a sperimentare il centuplo! E in forza di questa esperienza di pienezza, mi sono deciso a lasciare tutto»
Un cambio di prospettiva e di passo che rende l’ultimo anno di università, per Andrea, «fantastico: ho iniziato a gustare di più tutto, molte amicizie sono rifiorite e ne sono nate di nuove. Ho cominciato a sperimentare il centuplo! E proprio in forza di questa esperienza di pienezza, mi sono deciso a lasciare tutto, amici e progetti, per chiedere di essere ammesso nel seminario». Decisiva per una «certezza definitiva» sarà poi la sua prima esperienza, come missionario, in Colombia; insomma: «Tutt’altra cosa rispetto al mio progetto di fare l’ufficiale e mettere su famiglia. Eppure, ero davvero felice!».
«Abbiamo sotto gli occhi tante necessità – ha detto rivolgendosi agli ordinandi il cardinale Baldassarre Reina nella sua omelia – e la tentazione è sempre quella di dover fare qualcosa». Ma Gesù, secondo il porporato, è come se mettesse un freno a questa preoccupazione. «Il Signore – ha spiegato – ci dice in maniera esplicita: “Non devi fare qualcosa, devi essere tu stesso dono per la gente che ti viene affidata”». E ha aggiunto. «Non mancheranno i momenti di difficoltà, ma l’importante è tenere sempre a mente che il Signore ci ha scelti per essere felici e per dare felicità agli altri».
Mentre il presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, Davide Prosperi, nel suo messaggio, ha voluto sottolineare: «Siamo lieti per la vostra decisione di condividere il dono ricevuto, la bellezza di una vita rinnovata dall’incontro con Gesù». Un gesto, ha aggiunto, «di grande audacia e libertà. Un “sì” che nasce dall’appartenenza viva alla compagnia del Movimento, dove avete imparato a riconoscere Cristo presente nella vostra vita». Ma anche un «segno potente di speranza, per la Chiesa e per il futuro del Movimento stesso, che ha urgente bisogno di sacerdoti formati nella scuola di don Giussani, capaci di accompagnare il cammino educativo e missionario di tutti in quegli ambiti di testimonianza e presenza che ci sono affidati».