Attento alla sua mano

Ciò che viviamo nella caritativa ci avvicina alla comprensione concreta del nostro rapporto con Dio.

Giovanni Ferrari, seminarista, vive nella casa di Fuenlabrada (Spagna). Nella foto, con un gruppo di ragazzi durante una gita con le fami

Durante i primi anni di seminario a Roma, ho avuto l’occasione di conoscere la realtà delle Missionarie della Carità. Le suore di Madre Teresa hanno una casa dentro le mura vaticane chiamata “Dono di Maria” in cui ospitano, ogni sera, persone senzatetto a cui offrono un piatto caldo ed un letto. Mi ricordo che, quando sono andato ad aiutarle, sono tornato a casa sempre molto edificato: la testimonianza di come quelle suore donano la loro vita a Dio accendeva in me il desiderio di essere più radicale nella mia vocazione.
Per questa ragione, una volta arrivato nella nostra missione spagnola, ho cercato la loro presenza anche qui. A Madrid, le Missionarie della Carità hanno due case, in una delle quali accolgono tutti i giorni circa trecento persone a cui preparano e servono il pranzo. È una caritativa molto semplice in cui, oltre ad aiutare a cucinare, c’è da servire il cibo e ripulire la mensa una volta terminato il pasto.
All’inizio dell’anno ho deciso di proporre questo gesto alla Scuola di comunità a cui partecipo e tutti i mesi vado con circa dodici persone. Questa caritativa, nel tempo, è diventata un appuntamento prezioso e atteso da tutti coloro che mi accompagnano: hanno infatti iniziato spontaneamente ad invitare nuovi amici a parteciparvi.

Anche io so essere attento alla Sua mano come queste persone lo sono alla mia?


Ho inoltre potuto verificare come il linguaggio della carità, oltre ad essere accessibile a tutti, sia un alfabeto semplice che apre al mondo della fede. Quello che vivo nella caritativa, infatti, mi aiuta anzitutto a intendere più nel concreto la mia relazione con Dio.
L’ho capito un paio di mesi fa. Dopo aver servito il pranzo e aver salutato gli ospiti della mensa, stavamo pulendo i pavimenti e la cucina quando, ad un certo punto, è suonato il campanello della porta già chiusa. Erano una decina di persone che non erano arrivate in orario ma che chiedevano ugualmente qualcosa da mangiare. Le suore mi hanno chiesto di uscire per distribuire loro gli avanzi del pranzo. Mi sono trovato così in una situazione difficile: ero io che decidevo quanto e che cosa dare a ciascuno. Queste persone avevano gli occhi fissi su di me, speranzose ed in attesa che mi rivolgessi a loro. I loro sguardi seguivano ogni mia mossa. Per di più, coloro a cui già avevo dato, non solo non si mettevano da parte, bensì continuavano ad insistere nella speranza di ricevere qualcosa di più.
In quegli istanti, mi è venuto in mente il salmo 122 che recita: come gli occhi dei servi alla mano dei loro padroni, così i nostri occhi sono rivolti al Signore. Gli occhi di queste persone mi sembravano quelli descritti dal salmista. Però, pensavo anche che Dio, di fronte alle nostre richieste, non si trovava nella mia stessa condizione: le Sue risorse non sono limitate come le mie, bensì Lui può dare secondo quantità infinite a ciascuno. Allora mi sono domandato: anche io so essere attento alla Sua mano come queste persone lo sono alla mia?

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