Cosa vale più della vita?

Al Meeting di Rimini, una mostra racconta le storia di Franz e Franziska Jägerstätter. La presentazione di Emmanuele Silanos (tra i curatori), già pubblicata sul numero di agosto di Tempi.

Hiddenlife Jagerstatter
Una scena del film di Terrence Malick A Hidden Life (2019), dedicato al martirio per mano nazista di Franz Jägerstätter.

Scrivo con le mani legate, ma è meglio così che se fosse legata la mia volontà”.

È il 9 agosto del 1943 e Franz Jägerstätter, dal carcere di Berlino, sta scrivendo il proprio testamento spirituale, poche ore prima che venga eseguita la sua condanna a morte. Il contadino di St. Radegund, un paesino austriaco a pochi chilometri dal confine con la Baviera (poco lontano dalla città natale di Joseph Ratzinger), cinque mesi prima era stato arrestato per essersi rifiutato di combattere per il Terzo Reich.

Quell’ultima lettera è oggi conservata a Roma all’interno del Memoriale dei martiri del Novecento situato al piano inferiore della chiesa di San Bartolomeo sulla suggestiva Isola Tiberina e realizzato per rispondere all’invito di san Giovanni Paolo II che, in occasione del Giubileo del 2000, volle che fossero rese note e custodite le storie di alcuni tra i milioni di uomini e donne che, nel corso del secolo che stava per finire, avevano dato la vita per testimoniare la propria appartenenza a Cristo.

Nell’edizione del Meeting di Rimini di quest’anno, è stato possibile prendere visione di quell’ultima, preziosa lettera, esposta all’interno della mostra Franz e Franziska. Non c’è amore più grande. Già dal titolo, si può intuire quello che i curatori hanno ritenuto essere il nucleo essenziale di questa storia: l’amore tra i due giovani sposi, che traspare in modo luminoso e commovente dall’ampio carteggio che costituisce il materiale più ponderoso dell’esposizione.

Lo aveva capito bene il regista Terrence Malick, che ha dedicato alla loro storia quello che è probabilmente il suo capolavoro, A Hidden Life (tradotto in italiano con il titolo La vita nascosta), spezzoni del quale hanno costituito parte integrante del percorso della mostra. Il grande cineasta americano, con una profondità di lettura dell’umano che raramente si incontra sullo schermo, aveva saputo mettere al centro del racconto il rapporto tra Franz e la moglie Franziska, intuendo che senza il rapporto con lei, la sua fede e il suo amore, non sarebbe stato possibile per Jägerstätter maturare la scelta che lo avrebbe portato al martirio.

È proprio questo uno degli interrogativi che suscita la vicenda del giovane contadino austriaco: come abbia potuto da solo distinguere la radice disumana e anticristiana del nazismo fino a prendere una strada opposta a quella della stragrande maggioranza di un paese nel quale persino la Conferenza episcopale si era espressa a favore dell’annessione alla Germania nazista.

È la gratitudine per ciò che hanno ricevuto senza merito che rende le loro vite terreno fertile per il sacrificio più grande.

Per Franz è invece molto chiaro che “è impossibile essere contemporaneamente buoni cattolici e veri nazionalsocialisti”.

Ma la domanda ancora più decisiva che pone la vicenda di questi due contadini austriaci è un’altra, e riguarda ciascuno di noi: “Per che cosa vale la pena vivere? E per che cosa vale la pena morire?”.

Immergendosi nelle lettere che i due sposi si scrivevano si può apprezzare la gioia che scaturiva dal loro amore, la serietà con cui si impegnavano nel lavoro, la gratitudine e la commozione per la presenza delle figlie, così come il gusto per ogni aspetto, anche il più piccolo, della loro semplice vita quotidiana illuminata dalla certezza della fede.

Ed è proprio la gratitudine per ciò che si è ricevuto senza merito che rende le loro vite terreno fertile per il sacrificio più grande. Come scrive Paul Claudel ne L’annuncio a Maria: «Che vale il mondo rispetto alla vita? E che vale la vita se non per essere data?».

Il martirio, in questa storia di ordinaria santità, non è una prova di forza né un’affermazione di sé e della propria eroicità: è, al contrario, l’espressione di un amore capace del sacrificio più grande. Il titolo della mostra richiama le parole con cui Gesù, nel Vangelo di Giovanni, identifica il vertice dell’amore che, a imitazione del Suo, i coniugi Jägerstätter hanno vissuto fino all’ultimo giorno della loro vita. Franz è morto giustiziato a soli 36 anni mentre Franziska ne ha vissuti altri settanta, durante i quali ha cresciuto da sola le sue tre figlie, sopportando la malignità di chi le attribuiva la responsabilità del folle comportamento del marito e l’umiliazione da parte di chi, tra le autorità civili e quelle ecclesiastiche, ha preferito tacere di lui e della sua morte. Un silenzio che è durato fin quasi alla fine del secolo scorso.

Franziska ha custodito in tutti quegli anni la memoria del marito fino al 26 ottobre 2007, quando, all’età di novantaquattro anni, assiste nella cattedrale di Linz alla cerimonia in cui suo marito Franz viene solennemente dichiarato beato. Morirà nel 2013, poco dopo aver compiuto cento anni. Non c’è amore più grande di questo.

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