Cristo è presente

Chiamati ad arrenderci alla presenza fisica di Dio. Una meditazione sul tempo di Natale.

CAMISASCA Redon Fuga in egitto (1903)
Odilon Redon, La fuga in Egitto, particolare, 1903, Musee d’Orsay (Parigi, Francia)

Dio è diventato uomo per essere vicino agli uomini. Nonostante questo, purtroppo, i più lo vedono come una realtà lontana. Egli, in effetti, resta talmente imprevedibile e discreto da sembrare sfuggente. Per noi credenti, invece, Dio è una presenza ogni volta più reale e concreta. E anche quest’anno, per noi, il Natale porta con sé un’imponenza nuova: Cristo è presente.

Ecco il significato della nostra vicinanza: siamo gli uni per gli altri il segno della Sua presenza. Lo siamo oggettivamente, a prescindere dalle nostre condizioni personali e dai nostri sentimenti. Allora, una caratteristica del Natale sono la gioia e la letizia che nascono dal riconoscerci chiamati insieme. Tale riconoscimento, infatti, apre di continuo a qualcosa di più grande: abbracciando i fratelli, riconosciamo chi è Cristo, ma soprattutto che Egli è qui, oggi.

Quel bambino deposto nella mangiatoia era già l’inizio di un mondo nuovo.

La consapevolezza della ragione del nostro essere assieme – chiamati insieme da Cristo stesso, dall’evento della sua Incarnazione – ci rende capaci di affrontare la bufera dell’esistenza. Nella poesia Il focolare, Giovanni Pascoli immagina una notte di temporale, piena di neve e di lampi. Le persone camminano, ma non sanno verso dove, perché non hanno ragioni per l’esistenza. A un certo punto un lampo più grande degli altri illumina una casa. A uno a uno gli uomini vi entrano. Si scaldano l’uno col fiato dell’altro. Poi, però, tornano di nuovo all’aperto e ognuno riprende a camminare per la propria strada, nel gelo della notte. Per noi, invece, è diverso: non siamo soli. Possiamo essere sicuri di abitare nella casa del Signore per lunghissimi anni e la certezza che Dio è con noi ci rende compagne felicità e grazia, come recita il Salmo 23.

Forti della compagnia del Signore, non affrontiamo l’esistenza a testa bassa, come se dovessimo abbattere tutti gli ostacoli, ma ci poniamo nell’ambiente dove viviamo come un lievito nuovo. Del resto, la grande novità introdotta dal cristianesimo si afferma sempre a partire da realtà molto piccole. Cosa c’è di più piccolo di un bambino? Eppure, per Maria e Giuseppe, come per i pastori, quel bambino deposto nella mangiatoia di Betlemme era già l’inizio di un mondo nuovo. I più non si erano nemmeno accorti della sua nascita. Cesare Augusto continuava a essere l’imperatore, Erode tiranneggiava… ma Gesù costituiva l’inizio dell’umanità nuova. Allo stesso modo la nostra piccola compagnia è per la vita del mondo, per anticipare nel tempo, in questo mondo, ciò che sarà il compimento definitivo. La condizione per realizzare tale compito è quella di “arrenderci” al Natale, alla presenza fisica di Dio. Il Natale ci chiama così a maturare un giudizio di stima nei confronti della nostra compagnia e della Chiesa. Si tratta di imparare ad aspettarci tutto dal luogo in cui siamo stati chiamati e accolti.

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