A inizio febbraio abbiamo passato una settimana a Varigotti con alcuni dei nostri sacerdoti più giovani e abbiamo invitato a passare una serata con noi Antonio e Paola, genitori di Marco Gallo, un ragazzo morto per un incidente a diciassette anni e per il quale si sta avviando la causa di beatificazione. Quell’ultima mattina, prima di salire sulla sua moto per andare a scuola, Marco aveva scritto sul muro della sua stanza le parole che le donne si erano sentite rivolgere quel giorno al sepolcro: «Perché cercate tra i morti Colui che è vivo?».
Cristo non è sepolto nelle tombe o nei ricordi, nella nostalgia di qualcosa che non c’è più. Cristo è presente ora, dentro le vite di chi ancora lo cerca e che da Lui si fa trovare. Cristo è l’Uomo vivo. Questa espressione accomuna, nella mia memoria, due ricordi decisamente diversi tra loro.
Il primo è legato a un paesino della Sicilia chiamato Scicli. Non sapevo della sua esistenza fino a quando ho cercato di capire il senso di una canzone di Vinicio Capossela che avevo ascoltato diversi anni prima e che si intitolava proprio L’uomo vivo. Ho scoperto che il noto cantautore, nato in Germania da genitori irpini ma cresciuto in Emilia, aveva scritto quella canzone dopo avere assistito a ciò che accade ogni anno, la mattina di Pasqua, in quel piccolo borgo siciliano.
Cristo è vivo nell’esistenza di uomini e donne resi vivi dall’incontro con Lui
Al termine della messa, un manipolo ben nutrito di muscolosi uomini del luogo trascina sulla piazza la statua di Gesù, venerata invece nella chiesa parrocchiale durante i giorni tristi che ricordano la passione e morte di Nostro Signore. Non appena la scultura di legno giunge nella piazza gremita di gente arrivata lì da tutta l’isola, ecco che cominciano a tirarla da una parte e dall’altra. La statua sembra agitarsi, cambia improvvisamente direzione, oscilla pericolosamente e poi riparte in una danza impazzita, eccitante e spaventosa al tempo stesso.
Questo pittoresco spettacolo di devozione popolare ha un solo scopo: affermare davanti al mondo che quell’Uomo è vivo. È un modo per dire che grazie a Cristo la morte non fa più paura. Che la risurrezione di Gesù non la elimina, ma la rende un passaggio che ci apre a una vita nuova.
Ma Uomovivo è anche il titolo di uno dei primi libri che ho letto, quando ero bambino, scritto con la sua proverbiale e ironica maestria da G. K. Chesterton: da allora, non smetto di citare la storia del suo protagonista, Innocenzo Smith, accusato di essere un poligamo e un fedifrago, uno che seduceva le ragazze per poi abbandonarle dopo pochi mesi di passione; uno che si innamorava sempre dello stesso tipo di donna, minuta e timida, dai capelli color carota. Fino a che si scopre che, in realtà, quella donna è sempre la stessa: è di lei che l’uomo continuamente si innamora, che corteggia e conquista per poterle promettere, una volta di più, eterna fedeltà.
La risurrezione di Gesù non elimina la morte, ma la rende un passaggio che ci apre a una nuova vita
Innocenzo Smith è un esempio di uomo vivo perché innamorato della vita: è immagine del cristiano che si alza ogni mattina per scorgere nella realtà i segni dell’Amato, la presenza di Cristo risorto.
La Pasqua ci ricorda che Cristo è vivo. Vivo dentro la Chiesa, nell’esistenza di uomini e donne resi vivi dall’incontro con Lui e dal desiderio di incontrarlo ogni giorno.
Sono questi i santi di cui dobbiamo cercare il volto, persone per cui né il limite proprio e altrui, né il dolore né la morte rappresentano motivo di scandalo. «Un amore alla vita caratterizza la figura del santo che per affermare la propria vita non ha bisogno di rinnegare nulla, nemmeno la morte» scrive don Giussani; perché «la morte è redenta: è passaggio alla vita».
È qui che dobbiamo cercare, come diceva Marco Gallo, l’Uomo vivo: in coloro che si sono innamorati di Cristo fino a dare la vita per lui.