Il mio istante e l’eterno

Una meditazione di Paolo Sottopietra sul Paradiso, il “per sempre” del Cielo che è già preparato nella nostra vita terrena.

Beato Angelico, «Il giudizio universale» (part.) 1431.

Il razionalismo del nostro tempo ha indebolito in noi la capacità di immaginarci concretamente il Paradiso, l’ultimo porto della nostra vita. L’eternità ci appare come un non-tempo. Le uniche immagini che ci soccorrono sono una luce abbagliante, che non lascia distinguere forme e contorni, o un’aria rarefatta attraversata da nuvole bianche. Fatichiamo perciò ad avvertire che il nostro presente ha a che fare con il per sempre del Cielo e siamo perciò meno disponibili alla fatica della lotta quotidiana per la verità di noi stessi e del mondo in cui viviamo. Per lottare, infatti, dovremmo essere convinti che gli atti e le scelte che compiamo contino realmente.

Ma l’eterno non è un’atmosfera vuota. Dopo la sua risurrezione, Gesù ha permesso a Tommaso di toccare le sue ferite, mostrando di essere entrato nell’eternità con i segni della sua passione, i segni che esprimono il suo amore per gli uomini. Ciò vale anche per noi. Anche il nostro amore per gli altri sarà conservato per sempre nella sua concretezza. In Paradiso rimarranno, trasfigurati, i segni fisici di questa nostra vita, testimonianza bella e perenne di ciò che è avvenuto nel tempo, sulla terra. Rimarranno anche i segni delle nostre decisioni più vere, delle gioie più pure e delle sofferenze che avremo provato. Rimarranno i rapporti con le persone care, i contenuti del dialogo con gli amici e quelli della nostra preghiera.
In Paradiso insomma non ripartiremo da zero. Le parole pronunciate davanti a Dio, le richieste che gli avremo presentato, le promesse, il perdono domandato e ottenuto, la gratitudine che gli avremo espresso, lo stupore provato per la sua vicinanza, e poi l’impegno che gli avremo offerto, i sacrifici compiuti, la consuetudine con i santi che avremo cercato, sia quelli conosciuti sulla terra che quelli invocati dal Cielo, la confidenza raggiunta con quelli che sentiamo più vicini, l’aiuto da loro implorato e ricevuto, tutto questo non verrà cancellato. Il Paradiso è un luogo di rapporti.

In Paradiso rimarranno, trasfigurati, i segni fisici di questa nostra vita, testimonianza bella e perenne di ciò che è avvenuto nel tempo, sulla terra.

Non v’è momento che non gravi su di noi con la potenza dei secoli, cantava Ada Negri in una bellissima poesia intitolata “Tempo”, e la vita ha in ogni battito la tremenda misura dell’eterno. Ma se questo è il vero peso di tutto quello che viviamo, allora ha senso lavorare, costruire, vivere, soffrire, gioire, godere della comunione con i fratelli e gli amici, con Dio stesso. Ho visto la Francia dalla neve al mare e sul piatto della bilancia la mia vita pesare, esulta Giovanna d’Arco in una canzone di Francesco De Gregori, contemplando la sua missione. Se il Cielo è concreto, Dio ci ha veramente spalancato davanti il mondo e la storia. Che io ci sia o non ci sia, perciò, non è uguale. Che io viva con tutta la mia coscienza, che io serva con tutta la mia creatività, che io dica o non dica fino in fondo il mio sì, qualunque cosa Dio mi chieda in questo momento, anche se fosse infinitamente piccola e nascosta agli occhi degli uomini, non è uguale. L’attimo che vivo ha un peso per le sorti del mondo.
Ecco perché sento sgorgare in me la passione perché anche tu, fratello uomo, vicino o lontano, conosciuto o sconosciuto, possa giungere con me là dove siamo destinati ad esistere per sempre. Ecco perché non è indifferente per me che tu ci sia o non ci sia, che tu possa conoscere l’utilità della tua vita presente, che io possa domani godere della tua compagnia in Paradiso.

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