Il vero silenzio

È in uscita “Il silenzio”, il nuovo libro di Massimo Camisasca e Stefano Picciano. Pubblichiamo la prefazione di Erik Varden, monaco trappista e vescovo di Trondheim.

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Un aspetto della vita monastica che apprezzo sempre di più con il passare del tempo è la statio. La statio è, come suggerisce il nome, il fermarsi. Si riferisce al momento appena prima della Messa, o prima di un’Ora dell’Ufficio Divino, quando i monaci si raccolgono in silenzio affinché i loro corpi possano trovare quiete, le loro menti e i loro cuori pace. Si preparano per il mistero che stanno per celebrare. […]

Trovarsi regolarmente nella statio significa ricongiungersi decisamente con ciò che si è e dove ci si trova. È dire: “Questo è ciò che sono; questa è la compagnia che servirò, che amerò e a cui sarò fedele; questo è il mio campo di battaglia e potenzialmente il mio paradiso”.

Riconoscere questa realtà in silenzio, prendendovi gusto, è costruttivo nel senso più profondo del termine. Mi edifica, distaccandomi da tutto ciò che mi frammenta e mi distrae, e mi radica in un contesto allo stesso tempo sociale e soprannaturale. Stare in silenzio quindi significa essere intensamente vigili, invitati ad acconsentire alle cose così come sono affinché la loro fecondità possa essere rivelata.

Il vero silenzio non è mai semplicemente assenza di rumore. Silenzio significa ascoltare; e ascoltare, come sa ogni monaco, significa essere chiamati a dare una risposta a ciò che si sente. In latino, il legame tra audire e oboedire, tra l’ascolto e l’obbedienza, è etimologicamente evidente; un termine palesemente deriva dall’altro. Per tutti noi, tuttavia, non importa quale lingua parliamo, questa connessione deve essere fatta esistenzialmente, nel modo in cui edifichiamo la nostra vita.

Silenzio significa ascoltare; e ascoltare significa essere chiamati a dare una risposta

Il silenzio, oggigiorno, è difficile da trovare. Molti ne sono affamati. Molti lo cercano, solo per scoprire che, stabiliti in qualche luogo remoto o in un ritiro austero, con tutti i loro aggeggi spenti, non lo possono sopportare. Silenziare le voci esterne ci rende stranamente consapevoli della cacofonia di voci che gridano dentro. Per affrontarle, abbiamo bisogno di umiltà, coraggio e perseveranza. Antonio il Grande scrisse nel quarto secolo: “Chi dimora nel deserto e persiste nella quiete [in hesychia] è liberato da tre specie di combattimenti, quelli dell’udito, del pettegolezzo e della vista; può dedicarsi completamente a un’unica battaglia, quella del cuore”. 

Per noi che viviamo in un universo di distrazione onnipresente e dittatoriale, quest’ultima battaglia è ancora più impegnativa di quanto non lo fosse per lui. Perché i nostri cuori non hanno forse perso in gran parte l’abitudine al silenzio? Il silenzio non è forse per noi un universo quasi mitico o un’utopia, per giunta leggermente minaccioso? Noi moderni dobbiamo imparare a stare in silenzio. La gioia del silenzio è per noi un gusto che dobbiamo acquisire, proprio come un palato brutalizzato da bevande eccessivamente zuccherate deve sottoporsi a un lento apprendistato, un digiuno dalle sensazioni travolgenti per assaporare la delicatezza di un raffinato tè al gelsomino.

Monsignor Massimo Camisasca ci ha fatto il gentile e pastorale favore, in questo libro essenziale, di insegnarci, con passi alla nostra portata, come entrare nel mondo del silenzio, trasformando quello che potrebbe sembrare un raggiungere la luna in un pellegrinaggio graduale e ricco di grazia. Questo libro sarà una benedizione per molti. Quanto più silenzioso sarà il lettore, tanto più profonda e paradossalmente melodiosa sarà la sua risonanza.

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