Qualche tempo fa, ho passato un fine settimana a Xalapa con Stefano e alcuni giovani lavoratori, che ormai non sono più tanto giovani.
La casa dove abbiamo alloggiato appartiene a uno di loro, Santiago. Arrivati a Xalapa il venerdì sera, ci siamo messi ad accendere il forno a legna per fare la pizza, ma la legna era umida. Saputo che i nostri vicini di casa erano anch’essi sacerdoti, sono andato a bussare alla loro porta per vedere di raccogliere un po’ di legna asciutta per il fuoco. Mi apre un anziano sacerdote, irlandese. Lo informo che anch’io sono un prete e lui mi invita a sedermi per fare due chiacchiere. Gli dico che siamo a Xalapa per il fine settimana. “Ah, di che tipo di apostolato si tratta?” chiede. “Di nessun tipo. Siamo solo un gruppo di amici che passano il fine settimana insieme”. Mi guarda con aria perplessa, come se non capisse.
Eppure, di questo si tratta: sei mesi fa con Stefano abbiamo condiviso il comune desiderio di avere un gruppo di amici in questa grande città di 20 milioni di abitanti, e un luogo che non fosse un’ulteriore “iniziativa” missionaria: catechismo, liceali, universitari, ministri degli infermi, ecc. Cose sacrosante, ci mancherebbe, ma dove in fondo rischi di essere sempre e solo il don, anche a causa del diffuso clericalismo che vige nel Paese. Era il desiderio di un luogo dove poter condividere con altri la vita che viviamo nella nostra casa, dove essere semplicemente Tommaso e Stefano. Così, una volta al mese, abbiamo iniziato a riunirci per una cena con alcuni giovani, gente della comunità di Comunione e liberazione o incontrata in parrocchia. A volte ci siamo visti in casa nostra, in altri momenti nelle loro. Abbiamo lasciato che le cene fossero libere, senza un tema prestabilito da affrontare, assecondando quello che emergeva: domande sulla fede, la Chiesa, la vocazione, il lavoro, le elezioni politiche.
Questo piccolo gruppo non vuole servire
a qualcosa, solo vuole essere
Poi, un paio di mesi fa, abbiamo deciso di organizzare un fine settimana a Xalapa. Ospiti nella casa di Santiago, abbiamo pregato insieme, cucinato, visitato la città, disceso le rapide di Jacomulco, dedicato una serata a dialogare sul tema del lavoro. Tre giorni, potremmo dire, di ordinaria vita cristiana.
Ritorno così alla domanda del vecchio sacerdote irlandese, che implicitamente ne conteneva un’altra: “A che servono questi tre giorni passati a Xalapa?”. Rispondo con la simpatica provocazione con cui Giacomo Biffi iniziò gli esercizi spirituali predicati a Giovanni Paolo II: “A che servono gli esercizi spirituali? Si potrebbe anche rispondere, in modo un po’ provocatorio ma con qualche verità, che non servono a niente. Voglio dire che la domanda «A che cosa serve?» è legittima e doverosa per ciò che ha indole di mezzo, ma è del tutto priva di significato per ciò che ha indole di fine. Ciò che ha indole di fine non serve, è”.
Ecco, allo stesso modo questo piccolo gruppo non vuole servire a qualcosa, solo vuole essere: un punto di verità, di comunione, di semplice vita cristiana vissuta, un luogo di pura gratuità e perciò assolutamente essenziale. Mi piace ricordare questi tre giorni a Xalapa con la contemplazione del cielo stellato, il piacere di dedicare tempo al disegno di un animale, il gusto di assaporare una buona pizza con la mozzarella di bufala. Sono cose che non servono a niente, totalmente gratuite e per ciò stesso assolutamente necessarie, specialmente in un mondo che tende a funzionalizzare ogni aspetto della vita e a misurare il valore delle cose, del tempo e delle relazioni in virtù della loro utilità e del raggiungimento di obiettivi successivi.