La santità che desideriamo

Un fotogramma di The tree of life, di Terrence Malick.

I santi sono come dei frutti che crescono a grappoli. Raramente Dio li mette nel mondo come torri isolate e, se concede la sua grazia a qualcuno, è per stringere attorno a lui altre persone.
Anche noi siamo stati convocati attorno alla grazia che Dio ha concesso a don Giussani. Dio opera in un uomo e poi gliene apparenta altri, raduna in fasci le linee delle loro vite e, tenendo questi fasci nelle sue mani, disegna la sua storia nel mondo. Sono convinto che Egli guarda così anche alla nostra comunione: se le case della Fraternità e quelle delle Missionarie saranno come questi grappoli di persone, la nostra docilità cambierà la storia e, nella misura in cui Dio vorrà, ci permetterà di entrare nella vita di tanti altri.

La santità coincide, in fondo, con la docilità di chi gradualmente, con pazienza innanzitutto verso se stesso, si abbandona sempre di più a ciò che Dio fa, lasciando prevalere la considerazione della Sua opera sulla considerazione del proprio male.


Una volta don Massimo ci ha detto che la santità dei superiori è come il seme della santità di tutta la Fraternità. Analogamente, la santità di coloro che vivono l’inizio di una nuova esperienza nella Chiesa è un seme che darà frutti di santità. Noi abbiamo dunque una responsabilità particolare.

Ma domandiamoci: crediamo veramente che questo sia possibile? Crediamo che la santità sia qualcosa che anche noi possiamo desiderare, che anche noi possiamo chiedere? Forse dobbiamo liberarci da tante immagini astratte che abbiamo dentro e riconoscere che la santità non è che il lasciarsi attrarre con sempre meno resistenza dentro il movimento che Dio imprime alle nostre vite, alla nostra comunione.
La santità coincide, in fondo, con la docilità di chi gradualmente, con pazienza innanzitutto verso se stesso, si abbandona sempre di più a ciò che Dio fa, lasciando prevalere la considerazione della Sua opera sulla considerazione del proprio male e di quello degli altri.

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