L’uomo di fronte allo scandalo dell’abbassamento di Dio

Quale è la differenza fra Giuda e Pietro? Una fede forse immatura, ma piena d’affetto: una meditazione di Paolo Sottopietra.

Ford madox brown jesus washing peters feet (1852–56) dimensioni grandi
Ford Madox Brown, Gesù lava i piedi a Pietro, 1852–1856 (Tate Gallery, Londra, Regno Unito)

La liturgia della Settimana Santa ci fa riflettere sul tema del Messia umiliato. Nella scena della lavanda dei piedi, Giuda e Pietro stanno l’uno di fronte all’altro come figure-simbolo della reazione dell’uomo di fronte allo scandalo di un Dio che volontariamente si abbassa.
Tutto il brano richiama le parole di Gesù e di Pietro che i vangeli sinottici raccolgono attorno alla scena della «confessione» di Cesarea di Filippo – dove Pietro proclama Gesù come Messia -, e nel contesto degli annunci della Passione. Giovanni invece pone la questione direttamente nei dialoghi che avvengono durante l’ultima cena, richiamando però il finale del sesto capitolo del suo vangelo: ancora una volta, la confessione di Pietro, il contesto eucaristico, l’annuncio del tradimento di Giuda.

Giuda e Pietro, dunque. I due apostoli condividono la stessa immagine della gloria del Messia, della sua potenza, del suo compito di liberatore. Entrambi hanno un’idea politica della salvezza, mutuata in modo meccanico dalla storia del patto di Jaweh con il loro popolo, dalle promesse legate al dominio sulla terra e alla supremazia sulle genti. Condividono la fede in Gesù, che entrambi riconoscono come il Messia. Anche gli altri apostoli ragionano nella stessa prospettiva, immediata e terrena. Lo dimostrano i figli di Zebedeo che, davanti a tutti, si avvicinano a Gesù per chiedere una carica che dia loro onore e potere nel regno di Cristo (cfr. Mt 20,20-23).
Nell’ora cruciale, si evidenzia però una differenza profonda tra la posizione di Giuda e quella di Pietro, nel rapporto con se stessi e con Cristo. Alla fine del suo travaglio, Giuda rifiuta Gesù perché ha tradito la sua immagine di Messia. Consegna il Figlio di Dio agli uomini, lo mette nelle mani dei potenti, perché non ha voluto rientrare nelle categorie di gloria e di potere che sono proprie dell’uomo.
Pietro si era sentito dire da Gesù: Vade retro, Satana! Il fatto era avvenuto a Cesarea di Filippo. Forse non era passata un’ora dal momento in cui aveva riconosciuto Gesù come il Messia ed era stato investito da Cristo dell’onore massimo tra gli apostoli (cfr. Mt 16,16-19). Di fronte all’annuncio dei patimenti di Gesù, Pietro aveva protestato ricevendo un tempestivo e pubblico rimprovero del Maestro: Mettiti dietro di me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini! (Mt 16,23). Benché Pietro abbia ricevuto una rivelazione dall’alto nei riguardi di Gesù – e gliene rende testimonianza di fronte agli altri apostoli lo stesso Gesù –, la sua fede è ancora allo stadio di un’esperienza di fiducia e di lealtà nei confronti del Maestro. Non è ancora stata illuminata dallo Spirito Santo, che Pietro riceverà con gli altri solo dopo la risurrezione di Cristo. Pietro è attaccato a Gesù, come insegna Giussani, lo ama con tutto se stesso: è questo che, nonostante tutto, lo mantiene aperto alla correzione.

Pietro è attaccato a Gesù, come insegna Giussani, lo ama con tutto se stesso.

A Cesarea, Giuda non aveva protestato in reazione all’annuncio dei patimenti di Gesù; ma ora il suo cuore è messo a nudo e appare chiaramente che non ha accettato la severa parola che Gesù aveva rivolto a Pietro a vantaggio di tutti. In quest’ora cruciale, appare allo stesso modo che Pietro invece l’aveva accettata, se pur cogliendone il significato solo confusamente, e decadendo poi molte volte dall’insegnamento contenuto in quel rimprovero.
La conclusione a cui arriva Giuda è dunque: “Se il Cristo non rientra nelle categorie umane”, che in ultima analisi sono quelle dei potenti, “non può essere veramente il Messia”. Giuda perde così la sua fede in Gesù e ritira l’assenso al giudizio espresso da Pietro per tutti: Tu sei il Cristo (Mt 16, 16). Forse ciò accade perché Giuda amava il Maestro meno di Pietro. Fede e carità si implicano a vicenda. Pietro invece non si allontana interiormente da Cristo e tiene fermo il suo riconoscimento, ma dentro di lui si dibatte ancora l’uomo vecchio che pensa secondo categorie umane e mondane. La rivelazione ricevuta da Dio circa Gesù (cfr. Mt 16,17), pur creduta, non ha ancora permeato profondamente il suo sguardo su di lui. Le proteste di Pietro durante l’ultima cena sono una testimonianza di questo itinerario non ancora compiuto. Signore, perché non posso seguirti ora? Darò la mia vita per te! (Gv 13,37). Ovvero: “Se tu, che sei il Messia, devi soffrire, sia pure! Mi fido! Ma anch’io soffrirò con te fino alla morte”. In queste parole, come in quelle pronunciate a Cesarea, Pietro esprime la sua fedeltà a Cristo e l’affetto che lo lega a lui, ma il suo atteggiamento è ancora tutto rivestito dai ragionamenti della carne e del sangue. In base a questi, Pietro immagina se stesso mentre impegna le sue forze per far fronte a un’opposizione umana, a fianco e in difesa del suo Maestro, anche fino alla morte, se necessario. L’immagine di cui Pietro riveste Cristo determina dunque anche quella con cui egli intende il suo “sì”, di cui riveste il suo impeto a seguirlo. Durante l’ultima cena, si ripete perciò la stessa dinamica del duro dialogo di Cesarea. Là Pietro aveva reagito dicendo: “Il Cristo non può patire!”. Qui, invece, afferma: “Se devi proprio patire, patiremo anche noi con te! E se devi andare fino alla fine, arriveremo alla fine anche noi con te!”. Un sentimento che implica la sua fede, l’attaccamento per quel Gesù-Messia. Fede e affetto entrambi veri, sebbene immaturi.

Nell’atto della lavanda dei piedi con cui apre l’ultima cena, Gesù vuole dunque visualizzare per i discepoli il modo di pensare di Dio in cui tanto stentano a entrare. Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito ma per servire (cfr. Mt 20,28), aveva detto loro dopo che si erano scandalizzati di Giovanni e Giacomo. Non ha trattenuto gelosamente per sé la sua uguaglianza con Dio, ma ha assunto la condizione di servo, si è umiliato, si è svuotato – dirà san Paolo, scrivendo ai Filippesi (cfr. Fil 2,6-8).

Laddove essi vedono ancora un uomo grande, vuole che vedano un Dio che si è fatto piccolo

Gesù li invita ora di nuovo a entrare in questa visione delle cose. Laddove essi vedono ancora un uomo grande, vuole che vedano un Dio che si è fatto piccolo. Laddove essi vedono un re e un sovrano che si innalza alla maniera degli uomini, vuole che vedano un Dio che ha scelto volontariamente per sé ciò che è ignobile e disprezzato (cfr. 1Cor 1,28).
È veramente fortissima la consonanza tra le parole di Gesù dopo la lavanda dei piedi e quelle del discorso riportato da Matteo dopo l’episodio in cui i figli di Zebedeo chiedono potere e prestigio: Voi sapete che i governanti delle nazioni dominano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti (Mt 20,25-28). Anche Marco riporta parole simili, sempre nel contesto degli annunci della passione: Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti (Mc 9,35).
L’ultimo, il servo, è colui che non indossa l’abito festivo ma il grembiule da lavoro. L’ultimo, il servo, è colui che si china sulla persona dell’altro e lo onora prendendosi cura di ciò che è più vergognoso, restituendogli in questo modo dignità, libertà, bellezza, e caricandosi in cambio della sua vergogna e sporcizia. «I tuoi peccati?» chiedeva Gesù a Gabrielle Bossis. «Di quelli mi occupo io».
E Pietro protesta ancora. Aveva detto: “Tu non puoi patire!”. Adesso dice: “Tu non puoi servire!”, Tu non mi laverai i piedi in eterno! (Gv 13,8). E Gesù risponde: Quello che io faccio, Pietro, tu ora non lo capisci, lo capirai dopo (Gv 13,7). Dove io vado, tu per ora non puoi seguirmi; mi seguirai più tardi (Gv 13,36).
Pietro riceve continuamente questa parola da Gesù: “Sì, ma non ora, più tardi!”. “Dopo!”. “Dietro!”. Cioè: “Non puoi anteporre le tue immagini, non puoi mettere in primo piano il tuo modo di pensare. Devi seguire me, venire dietro e non metterti davanti. Devi assumere un nuovo modo di vedere le cose e anche me; seguendo me, però, e non dettando tu dove io debba andare”. L’opposizione di Pietro a Cristo è benintenzionata, ma così carnale e presuntuosa che finirà per costargli il triplice rinnegamento. Nella pazienza di Gesù, che si trova a dovere continuamente arginare le rimostranze di questo suo amico sincero, che cerca ad ogni occasione di forzarlo in una direzione tutta umana, possiamo scorgere un aspetto non secondario della divina umiliazione del Signore, del suo abbassamento. Simone, Simone, ecco Satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli (Lc 22,31-32).

Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro… (Gv 13,12). Gesù si è spogliato, fisicamente, davanti a loro. Così come si lascerà spogliare sul Calvario, delle sue vesti e del suo corpo, del suo sangue, del suo umano soffio vitale. Adesso però riprende le sue vesti e si pone a sedere. Si è mostrato nella posizione del servo, riprende ora la dignità del Signore e del Maestro. Si siede tra loro di nuovo nell’atto di insegnare e chiede: Capite […]? Cioè: “Potete intendere Chi io sono a partire da ciò che ho fatto?”. Capite ciò che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi (Gv 13,12-15).

Nell’Eucarestia ci invita a partecipare della sua potenza nella forma dell’inermità


L’Eucarestia che Gesù istituisce nell’ultima cena e ci lascia fino al suo ritorno contiene questo mistero di abbassamento, di umiliazione, di consegna di sé agli uomini che possono accogliere o rifiutare, venerare oppure oltraggiare. Mistero di amore, di amicizia, che è sacrificio di sé perché l’altro risplenda della sua gloria, mistero di servizio, di perdono, di redenzione e infine di forza, di potere, di vittoria e di gloria. L’eucaristia contiene l’incarnazione e la croce. Nell’atto di riprendere le sue vesti, Gesù anticipa però anche la sua risurrezione. Queste vesti riprese sono il simbolo di quelle con cui lo vedremo comparire alla fine del tempo – il tempo nostro e quello del mondo – ammantato di gloria. E nell’eucaristia c’è anche questa sua signorìa sullo spazio e sul tempo, questo suo splendore. Eppure, nell’ostia affidata alle mani dell’uomo, ancora un poco (Gv 14,19) Cristo si nasconde e si umilia, si consegna indifeso. Ancora ci invita a riconoscerlo come il Signore nella forma del servo, a vedere e a partecipare della sua potenza nella forma dell’inermità. Ci invita così di nuovo a entrare nella realtà vera del suo dominio, che è un dominio d’amore, di donazione, di amicizia per l’uomo. Anche voi fate come io ho fatto a voi (Gv 13,15). Il tempo dell’eucarestia è il tempo di questa sua scuola, il tempo di questo nostro apprendimento.

La presente meditazione è tratta da un’omelia tenuta da don Paolo Sottopietra, superiore generale, durante la celebrazione della Messa in Coena Domini nella cappella della Casa di formazione della Fraternità san Carlo, 9 aprile 2020.

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