Rob Kenney, conosciuto come “il papà del web”, è un 56enne di Seattle che insegna ai ragazzi senza padre a farsi la barba, un nodo alla cravatta, a cambiare la ruota di una macchina. Il suo canale Youtube Dad, How Do I? è seguito da 5 milioni di persone, la sua casella scoppia di email. Abbandonato dal padre a soli 14 anni ha deciso di aiutare chi come lui ha sofferto l’assenza di una guida attraverso consigli pratici e video motivazionali perché «ho capito che chiunque può essere padre, se si comporta in maniera amorevole, come fosse un papà».
Patrizio Cossa è padre e coach di Bar Papà, “la più grande community di papà blogger d’Italia”, papà senza “pregiudizi e stereotipi” retaggio del patriarcato, pieni di “fragilità e emozioni”, animatori della prima “Fiera dei papà”: «È la prima volta nella storia che noi padri ci permettiamo di essere papà nella storia sociale, di mostrarci in quanto tali, cambiare il pannolino, andare in giro con passeggini, mentre i nostri nonni o papà non avevano questa possibilità a livello di società».
Padri in formazione è la newsletter di consigli per traghettare “da uomo a padre”, uno strumento emblematico dei “papà 2.0”, genitori che hanno contribuito a plasmare l’odierna «genitorialità digitale»: li chiama così il progetto europeo 4e-parent nato per «promuovere l’impegno dei padri nella cura e una mascolinità accudente come mezzi per prevenire la violenza di genere e come percorso per accrescere il benessere di tutte le componenti della famiglia».
Ma un padre non è un insieme di funzioni
Gli esempi sono infiniti, coinvolgono padri di ogni risma (sposati, conviventi, single, separati, gay) e dicono tutti che i millennial, generazione che più delle altre ha sofferto il disequilibrio familiare, vogliono riportare una nuova “figura paterna” in case, famiglia e società. Non vogliono essere mammi o controfigure delle madre (non diremo qui della sparuta ma potentissima compagine di uomini che, grazie a vendita e affitto degli organi femminili o del potere dei farmaci, vuole invece definirsi tale), ma “semplicemente un papà”, come recita il claim di Papathumper, gran mogol di tutti i papà 2.0. E si attrezzano per farlo al meglio: seguendosi – letteralmente – in rete, insegnando e imparando come funziona.
Il padre non evapora. Il padre è una forma incarnata di vita, non uno stile di vita.
Ma un padre non è un insieme di funzioni. O un principio di sussidiarietà orizzontale. Né la paternità un ruolo adeguato a nuovi scopi da riconquistare dopo la celebre “evaporazione” del padre eufemisticamente raccontata dai media fino a qualche anno fa. Il padre non evapora e non è un prodotto della parità di genere o di codici molto progressivamente aggiornati. Il padre è una forma incarnata di vita, non uno stile di vita.
Il fulmine a ciel sereno di Camisasca
Per questo l’antologia La paternità di monsignor Massimo Camisasca, vescovo emerito di Reggio Emilia-Guastalla, appena pubblicata da Marcianum Press con una splendida prefazione di Claudio Risé, è un fulmine a ciel serenissimo. Che ci strappa dalla sonnacchiosa, sentimentale e vagamente sindacaloide odierna rappresentazione di colui che invece Charles Péguy chiamava l’ultimo «avventuriero» della modernità, e Cormac McCarthy colui che insieme al figlio continua a «“portare il fuoco” del reciproco amore in un mondo che sta dimenticando cosa voglia dire essere uomini».
La tentazione dell’autonomia
Scrive così il caro allievo di don Luigi Giussani, fondatore della Fraternità sacerdotale San Carlo, testimone vivente della paternità spirituale di cui Tempi ha raccontato moltissime volte. Non stiamo parlando di pari opportunità, equità, inclusione, bilanciamenti, fairness, ma del cuore stesso del cristianesimo: paternità, figliolanza, autorità, obbedienza, libertà, appartenenza, speranza, educazione, perdono. «La paternità – scrive Camisasca rialzando bruscamente il tiro e lo sguardo oltre tanta robetta propinata sul tema – è innanzitutto la volontà positiva che Dio ha sulla nostra vita, la predilezione che ha avuto per noi, il desiderio che abbiamo di essere responsabili del popolo che ci affida, dentro l’obbedienza storica che ha scelto».
L’indebolirsi dell’esperienza della paternità ha reso astratta l’esperienza di Dio come Padre
Non c’è padre senza Dio. Ma l’indebolirsi dell’esperienza della paternità ha reso astratta l’esperienza di Dio come Padre e lo spessore affettivo e creativo della fede nella storia. Per questo parallelamente a quella del padre stiamo attraversando la crisi dell’appartenenza, «che è la forma più acuta della crisi del cattolicesimo». Ed è una crisi che ci riguarda tutti, perché ognuno nasce «per diventare padre e madre», «non ci sono eccezioni», e soprattutto non ci sono solo padri carnali, «si può dire che la vita sia un succedersi di padri», insegnanti, amici, autori, sacerdoti. Tuttavia paternità e appartenenza sono i nemici de facto della post modernità, votata non più a carnale o spirituale ma a una astratta parità, e che in ogni forma di “legame”, “autorità” e “dipendenza” vede solo ostacoli a “libertà”, “autodeterminazione” e “realizzazione dell’io” (divorzio, aborto, fine vita: non rema tutto verso una società orfana del dono di sé, della dipendenza da un altro?).
L’inizio di un popolo
Eppure è da qui che parte Camisasca, dalla lotta connaturata fin dall’origine alla nostra umanità ferita tra la tentazione dell’autonomia, voler far da soli, e l’esigenza di appartenere, riconoscere un’autorità (da «augēre, aumentare, crescere»),cioè qualcuno che ci indichi una strada, una speranza. «Il rapporto con l’autorità è sempre in funzione della costruzione di qualcosa di più grande, di quella casa di Dio fra gli uomini in cui ciascuno ha un posto specifico», ma un rapporto sano con essa si può vivere «soltanto in un luogo in cui la persona scopre di essere generata, che nell’appartenenza si realizza la libertà». Un’autorità necessaria dunque perché un figlio sviluppi la sua libertà, e perché un uomo diventi genitore, «uno non può essere padre, generatore, se non ha nessuno come padre».
Un libro che conduce alla scoperta della dipendenza più grande, fondamento della libertà
È il figlio stesso a mostrarcelo, la sua dipendenza totale è lo specchio della nostra, «il suo bisogno riflette il nostro. Egli ci ricorda che non siamo autosufficienti». Sono solo alcuni flash da un libro che conduce alla scoperta della dipendenza più grande, l’amore, fondamento della libertà, dell’educazione che compie continuamente l’atto di nascita («Perché possa educare, all’adulto è richiesto continuamente di accettare e riconoscere il nuovo nato»), e del suo motore segreto, la speranza. Un libro che chiama in causa non solo padri biologici ma uomini capaci di amicizia e discepolanza, di perdono e di imparare ogni giorno dal Maestro.
Non è un video, una chiacchiera da bar, una newsletter: ogni padre, figlio, insegnante, sacerdote non è affatto “semplicemente un papà” ma «l’inizio di un popolo, non importa se numeroso o meno», «fatto di nomi e cognomi, di date, di avvenimenti, circoscritto da un’appartenenza chiara e spalancato a tutto il mondo». Non è un ruolo, una scelta, una funzione: è la vocazione della vita.