Sostenuti da una storia più grande

Vivere la missione con coraggio e con la consapevolezza di essere “collaboratori di Dio”: una testimonianza da Città del Messico

Davide Tonini è parroco di Maria Inmaculada, a Città del Messico. Nella foto, durante una vacanza con i giovani della comunità.

I primi missionari che arrivarono in Messico trovarono di fronte a loro uno sterminato campo di missione. Non c’erano strade tra un paese e l’altro, ma solo sentieri. Non c’erano animali come la mucca, il cavallo e l’asino. Forse proprio per l’assenza di questi mammiferi, non era stata scoperta la ruota. Gli indigeni usavano centinaia di lingue diverse ed erano immersi in una religione pagana vissuta con profondo attaccamento. Inoltre, si calcola che nei primi decenni di presenza spagnola in questo paese siano morti circa il novanta percento degli abitanti autoctoni a causa dei nuovi virus e batteri a cui gli indigeni furono involontariamente esposti da parte dei conquistadores. Così, ai missionari toccava seppellire bambini, giovani – e perfino intere famiglie – magari appena convertiti con fatica. Vedevano “andare sottoterra” le primizie della loro opera di evangelizzazione. Erano queste le condizioni in cui i frati spagnoli, mandati dal re, dovevano svolgere la loro missione.
Per questo, a volte mi chiedo semplicemente: come facevano? Come nutrivano la loro speranza, per sostenere quotidianamente i sacrifici del loro impegno missionario? Che cosa si aspettavano come frutto della loro evangelizzazione? Forse, qualche risposta a queste domande la posso trovare nella mia stessa esperienza di vita in Messico, sebbene sia qui da pochi anni. Provo a fare qualche esempio per spiegarmi.
Cinque anni fa, insieme a David Crespo e Gianni Brembilla abbiamo iniziato una riforma del catechismo parrocchiale. L’idea era di allungare il tempo per stare insieme ai bambini proponendo loro, oltre all’ora di dottrina, un momento di canti e di giochi e la celebrazione insieme della messa. A poco a poco, siamo riusciti sia a coinvolgere gli educatori e i catechisti, sia a convincere i genitori dei bambini della bontà della proposta. La prima volta che l’abbiamo lanciata, si sono iscritti una quindicina di bambini. Quest’anno, invece, ne sono arrivati quasi cinquanta. Siamo stati perfino obbligati a cercare nuovi spazi in cui svolgere le attività del sabato pomeriggio, perché i nostri non ci permettevano di accogliere così tanti ragazzi.

È solo questione di donare la vita, giorno per giorno, poi Dio saprà come rendere utile il nostro tentativo.

Un altro esempio. Due anni fa un nostro seminarista, che era qui per un’esperienza annuale di missione, ha iniziato a suonare la chitarra e a cantare nella messa feriale delle sette di sera. Dopo qualche mese, gli si è avvicinato un ragazzo per chiedergli se poteva unirsi a lui. Hanno iniziato così un piccolo coro a cui si sono aggiunti rapidamente vari altri giovani. Quando il seminarista ha finito il suo anno in Messico ed è tornato a Roma, l’iniziativa sarebbe caduta nel dimenticatoio, se non fosse che una nostra amica suora, piccola e energica, ha deciso di prendersi a cuore il coretto. Adesso, nella messa del catechismo del sabato sera, ci sono quattro chitarre che suonano bene insieme, vari ragazzi che aiutano a cantare, e un coro di venti bambini che sono uno spettacolo.
Questa nostra missione sta compiendo venticinque anni di storia e di esempi come questi se ne potrebbero fare all’infinito. Insieme, portiamo avanti una storia che è molto più grande di ciascuno di noi sacerdoti che l’abbiamo servita. Negli anni, questo posto è cambiato, la comunità è cresciuta, e oggi è in un certo senso più semplice e più bello portare avanti quanto è stato costruito nel tempo. Adesso è questa stessa storia che ci accompagna tutti i giorni e ci sostiene in una forma davvero concreta. Un po’ come diceva San Paolo ai Corinzi: Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma è Dio che ha fatto crescere… siamo infatti collaboratori di Dio.
Capisco allora che la speranza dei primi frati missionari doveva avere qualcosa in comune con l’esperienza che faccio oggi insieme a Gabriele Saccani, che condivide con me quest’avventura: c’è uno sterminato campo di missione di fronte a noi, ma non ci dobbiamo scoraggiare. È solo questione di donare la vita, giorno per giorno, poi Dio saprà come far crescere, come rendere utile il nostro tentativo.

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