Il limite e il dolore umano costituiscono un fatto che scombussola la vita sia quando si manifesta su di sé che quando a viverlo è un famigliare o un amico; nonostante la possibile assuefazione, incide anche sulla vita di chi lo cura. Il controllo del sintomo non toglie il contraccolpo di interrogativo o di fastidio.
Per una serie di circostanze ho passato quarant’anni di vita a gestire, ristrutturare e costruire luoghi di cura per malati gravi, cronici e terminali. Ne ho visti veramente tanti, di tutte le età, per lo più accompagnati dalle loro famiglie: tutti desiderosi di cure, di salute e di vita. Il dolore è stato lenito, la malattia contenuta, la famiglia alleviata, almeno per un certo tempo, senza tuttavia soddisfare totalmente una domanda: perché il dolore ed il limite? Come si può convivere con essi? Cosa dire a chi soffre?
Una terapia farmacologica, una prestazione o una distrazione, per quanto utili, non bastano: per vivere il dolore, il limite fisico o psichico, specie se cronici, la vecchiaia e la morte senza farsi sopraffare ci vuole un’esperienza che li comprenda.
Perché il dolore ed il limite? Come si può convivere con essi? Cosa dire a chi soffre?
I due testimoni che si incontrano in questo libro documentano una posizione umanamente adeguata. Persone a cui il dolore è famigliare non perché operatori sanitari, o esperti in materia, ma perché aperti alla realtà nel corso di vite intensamente vissute a contatto con le umanità più diverse.
Frequento almeno settimanalmente da oltre dieci anni Don Vincent Nagle, Cappellano della Fondazione Maddalena Grassi e della Fondazione Adele Bonolis, opere che in diverso modo concorro a gestire. L’ho sempre sentito documentare una spiegazione con un’esperienza vissuta e quasi mai la stessa. Frequenta quotidianamente malati gravi e cronici, con malattia fisica o psichica, spesso in fase avanzata ed in condizioni molto compromesse, sia in strutture che al domicilio. Con loro incontra famigliari, amici ed operatori: risponde a domande solo se glie ne fanno, sta con loro per il tempo che gli è possibile. Celebra la messa, fa prolungate adorazioni, confessa chi lo chiede: normalmente in tanti. Nelle pagine che leggerete, come negli incontri, riferisce di come si mette lui davanti alla vita, alla malattia, alla morte: è di una semplicità disarmante e convincente.
Sono anche tra i tanti che hanno cercato di frequentare, almeno in qualche occasione, Don Massimo Camisasca, sacerdote e Vescovo, portatore di un’attrattiva ad Altro da sé: il senso delle cose, le loro priorità, il contesto che le genera e le spiega. Proprio come nelle pagine di questo bel volume in cui toglie ansie a malati, anziani e famigliari e dice di uno scopo, certo e positivo, anche della condizione umana più compromessa. Alla disperazione di un’insufficienza umana suggerisce la speranza delle cose umanamente possibili e ragionevoli: la compagnia, la preghiera, l’affidamento reciproco. […] È un testo utile per tutti, in particolare per chi vive situazioni analoghe a quelle che hanno generato i dialoghi e gli scritti riferiti: malati, famigliari, amici ed operatori. Persone non di rado frastornate da una situazione faticosa e dall’ansia di cure adeguate e risolutive, sovente alimentata dalla cupidigia di una cultura disumana in cui siamo vorticosamente immersi. […] Le sue pagine ci ricordano che davanti al mistero aspro del limite e del dolore l’ultima parola non è la disperazione di un’impotenza o lo sfiancamento di uno sforzo, ma la serenità ragionevole di un affidamento e di una compartecipazione ad un progetto misterioso e, pur se incomprensibile, ultimamente buono.
Stare. In compagnia del malato e dell’anziano, doni e cura
Massimo Camisasca, Vincent Nagle
Edizioni Ares, 2025