È venerdì mattina. Le scuole a Nairobi sono chiuse per quasi tutto il mese di aprile. In parrocchia però l’attività non si ferma: anche oggi gli amici del gruppo Ujiachilie si ritrovano insieme. Si tratta di un’esperienza nata diversi anni fa dall’incontro di don Alfonso Poppi con alcuni malati e disabili, specialmente bambini, presenti nella parrocchia, abituati a passare le giornate relegati nello loro case. Il pullman arriva puntuale alle 10, carico di bambini disabili e delle loro mamme. I volontari li aiutano a scendere dal pullman, le mamme si caricano sulla schiena i figlioletti più piccoli. Tutti insieme si dirigono verso la chiesa, dove la mattinata inizia con l’adorazione eucaristica. È il momento più impressionante: li guardo, sono davvero gli ultimi, evangelicamente parlando, sono coloro che la società rigetta, che preferirebbe non vedere; e invece sono lì, davanti al Santissimo, sono i prediletti del Signore che a Lui possono affidare tutto il loro dolore e con Lui portare la croce che salva il mondo, che salva me. Cantano Ujiachilie, che in swahili significa «Lasciati fare», ovvero: abbandonati nelle braccia di Gesù che ti conosce a fondo e che ti ama così come sei.
Oggi però ci sono dei volti nuovi: nove giovani amici che frequentano il “Mantello di san Giuseppe”, una compagnia di ragazzi delle scuole medie che si ritrova ogni domenica in parrocchia guidata da don Giuliano. Qualche tempo fa, pensando al periodo di vacanze che li attendeva, abbiamo pensato di invitarli a condividere con noi, e soprattutto con questi bambini, la mattinata, col desiderio di far scoprire loro il valore della carità.
Si sono presentati alle 9.30 e insieme a suor Monica e don Giuliano abbiamo pensato ai canti da proporre. Don Giuliano, riprendendo la canzone Tofali juu ya tofali («Mattone su mattone»), li introduce al momento che stiamo per vivere insieme: donando il nostro tempo, scopriamo in realtà che in tal modo stiamo “costruendo” noi stessi, arricchendo la nostra vita.
Dopo il momento di adorazione in chiesa, ci ritroviamo insieme in una sala della parrocchia. I ragazzi, inizialmente con un po’ di timore, iniziano a cantare i canti che avevano preparato. Alcuni bambini li seguono divertiti, altri ascoltano in silenzio. Poi ci dividiamo in gruppetti: alcuni bambini vanno a giocare, altri rimangono a disegnare e colorare aspettando di fare fisioterapia. I ragazzi del Mantello si coinvolgono in fretta, giocano con loro, li aiutano a disegnare. Una delle ragazze, un po’ più intimorita, raggiunge me e suor Monica che stiamo lanciando la palla ad alcune bambine impossibilitate a muoversi, sedute sulla sedia a rotelle. Si coinvolge anche lei nel gioco e il timore passa presto. Arrivato il momento del pranzo, i ragazzi, insieme ai volontari che vengono ogni settimana, portano il cibo ai bambini e alle loro mamme. Solo quando sono sicuri che tutti siano stati serviti, si siedono anche loro a mangiare. Infine accompagniamo i bambini al pullman, che si sbracciano per salutarci dai loro sedili. Saluto anche i ragazzi, ringraziandoli per il loro aiuto e dando loro appuntamento a domenica per il Mantello. Vanno via davvero felici, ancora cantando i canti della mattina. Torno a casa profondamente grata per questa giornata.
Il martedì mattina seguente torno all’Ujiachilie. Inaspettatamente, fuori dalla chiesa, ci sono alcune ragazze del Mantello ed altre invitate dalle prime. «Che cosa ci fate qui?» «Prepariamo i canti per l’Ujiachilie!» Sono tornate dai loro nuovi amici. Spontaneamente hanno pensato ad alcuni canti e li hanno proposti ai bambini. Anche questa volta si coinvolgono nei giochi e alcune di loro accettano di stare anche con alcuni disabili più gravi.
Scrive monsignor Camisasca nel suo libro Passione per l’uomo: «Vivere la carità non significa dare qualcosa, ma mettere in comune noi stessi. È una reciproca comunicazione di sé, nella quale ciò che riceviamo dall’altro è molto spesso più di quanto gli sappiamo donare. La forma primordiale di questa condivisione è lo stare accanto a Lui». In questi primi mesi della nostra missione a Nairobi i ragazzi del Mantello mi hanno permesso di riscoprire la verità di queste parole ed è forse questa una delle cose più belle della missione: imparare da coloro a cui sei mandato.