Venite e bevete

Per il dono dello Spirito le nostre vite inaridite possono rinascere: l’omelia di mons. Camisasca nella Pentecoste.

Giotto, «Pentecoste», 1320-25

Cari fratelli e sorelle,

il mio saluto a tutti voi, in particolare ai nostri fratelli che tra poco saranno ordinati, alle loro famiglie e ai loro amici. La famiglia e gli amici sono l’ambito privilegiato in cui una vocazione inizia a fiorire, prima di essere consegnata agli educatori del seminario che sono chiamati a verificarla, alimentarla e consegnarla alla Chiesa. Ringrazio quindi, per questo prezioso lavoro, i superiori ed educatori del seminario, rettore e vicerettore, i padri spirituali e gli insegnanti dello Studio Teologico. Il mio grato ricordo anche alle parrocchie e ai movimenti da cui i nostri ordinandi provengono e che tanta parte hanno avuto nel discernimento della loro chiamata.
Ogni vocazione sacerdotale è frutto di tanti incontri, volti, nomi, luoghi di cui Dio si serve per attrarre a sé coloro che egli sceglie. Anche questa sera, attraverso questa sacra liturgia, Dio certamente continua a chiamare e spero che molti giovani presenti possano avvertire la bellezza e il fascino della vita sacerdotale che ha conquistato i cuori di questi nostri amici e fratelli.

Gesù è a Gerusalemme per la festa delle Capanne: là è il suo cuore, il suo sguardo, la sua tensione durante tutta la vita pubblica. Ma anche negli anni dell’infanzia fu così, come mostrano la presentazione al tempio e il pellegrinaggio da Nazareth alla capitale per il passaggio alla maturità. Il Figlio dell’uomo era come calamitato da quel luogo, non solo perché esso era la città del Tempio, della presenza per eccellenza di Dio, ma anche e soprattutto perché lì si sarebbe conclusa la sua obbedienza sulla terra, sarebbe stato innalzato, sarebbe ritornato al Padre con il corpo resuscitato.
Nel vangelo di questa sera, vigilia di Pentecoste, ci è presentato un innalzamento anticipato di Gesù. È frequente nel vangelo di Giovanni questa anticipazione degli eventi. Occorre infatti percorrere un lungo cammino per vedere, capire, amare, credere.
Il brano di Giovanni che abbiamo proclamato non si riferisce alla festa di Pentecoste. Questa era celebrata dagli ebrei, come da noi, cinquanta giorni dopo la Pasqua, al tempo delle prime messi. Nella lettura evangelica ascoltata siamo nella festa dei Tabernacoli, o delle Capanne, una ricorrenza d’autunno, nel tempo del raccolto di cui si rendeva grazie a Dio. Durante la settimana di festa il popolo della città e i pellegrini alloggiavano sotto tende di frasche, cantavano e ballavano, mentre il Tempio era particolarmente illuminato.
Gesù partecipa alla celebrazione, canta con i suoi amici, ma il suo cuore è rapito da una necessità. Tutte le mattine di quella settimana il sommo sacerdote andava alla piscina di Siloe ad attingere l’acqua, che veniva sparsa sull’altare assieme al sangue. Siamo nell’ultimo giorno della solennità, Gesù non può più indugiare. Sente dentro di sé l’urgenza di gridare a tutti perché è lì, perché è stato mandato dal Padre sulla terra. Parla a quegli uomini e a quelle donne, ma si rivolge a tutto l’universo, stando in piedi, come fosse il centro del cosmo.

La sete di Cristo è una grazia da domandare ogni giorno nella preghiera.

Cristo parla agli uomini e alle donne di tutti i tempi, quindi anche a noi. In particolare a voi, cari fratelli che state ricevendo l’ordine del presbiterato e del diaconato. Egli in questo momento vi dice: Se avete sete, venite a me e bevete (cfr. Gv 7,37).
L’ordinazione che fra poco riceverete, per l’imposizione delle mie mani e la preghiera consacratoria, accade ora come risposta di Cristo alla vostra sete e alla sete di tutta la Chiesa. Se non avete sete di Cristo, la grazia dell’ordinazione si inaridirà presto. Se non avete sete di Cristo non potrete ricevere l’acqua che sgorga da lui e non potrete, perciò, donarla agli assetati del mondo (cfr. Gv 7, 38).
La sete di Cristo è una grazia da domandare ogni giorno nella preghiera. Essa, più che una vostra sete, è la partecipazione alla sete di Cristo, quella che ha manifestato durante la sua vita nel pellegrinaggio di paese in paese, nella pazienza di fronte all’assedio della folla, nella miriade di incontri e, infine, sulla croce. Siete mandati alla sete degli uomini.
Essi in ogni tempo, e quindi anche nel nostro, sono spesso paragonabili a ossa inaridite, quelle di cui ci parla il profeta Ezechiele (cfr. Ez 37). Le ossa inaridite che ci sono presentate dal profeta sono il popolo distrutto dall’esperienza dell’esilio. Oggi stiamo vivendo un’esperienza simile. Abbiamo bisogno che le nostre ossa tornino a vivere e i nostri corpi siano resuscitati. Questo può avvenire solo per il dono dello Spirito.
La vita del presbitero e del diacono conserva nel suo centro la domanda dello Spirito per una nuova rinascita del popolo cristiano. È la speranza di cui parla san Paolo, che si fonda sulla fedeltà di Dio (cfr. Rom 8, 22-27).

Cari Sebastiano, Paolo e Marcello, caro Francesco,
siete oggetto di una grande predilezione, di un grande affetto da parte di Dio; siete chiamati a una grande avventura: essere il tramite del rinnovamento del mondo operato dalla grazia attraverso la povera nostra umanità.
Dio vi conceda di essere sempre fedeli a questa grazia, al giuramento che ora pronunciate, che si fonda su una totale fiducia nella sua assistenza. È questo il mio augurio per voi. È questo l’augurio della Chiesa: oggi, con la vostra elezione, Dio ancora una volta manifesta la sua paternità misericordiosa per tutti noi.

Omelia nella solennità di Pentecoste (Messa della Vigilia)
Ordinazioni presbiterali e diaconali della Diocesi.
Cattedrale di Reggio Emilia, 22 maggio 2021

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