Durante l’estate, alcuni seminaristi vengono inviati a fare esperienze di due o tre settimane in diverse realtà caritative. Simone e io siamo stati mandati a “L’imprevisto”, una comunità terapeutica con sede a Pesaro per giovani con problemi di tossicodipendenza. La casa è abitata da circa venti ragazzi di età compresa fra i sedici e i trent’anni. A noi è stato chiesto semplicemente di vivere con loro, lavorando e condividendo la quotidianità.
La cosa che ti colpisce quando arrivi a “L’imprevisto” è la bellezza del posto. La struttura è tenuta in ordine dai ragazzi che passano la giornata curando il giardino, facendo le pulizie, occupandosi della lavanderia o cucinando a turno. Le ore del lavoro quotidiano sono scandite, oltre che dai pasti, da due assemblee cui partecipa tutta la comunità. In questi incontri i ragazzi sono invitati a giudicare il loro lavoro e il rapporto con gli altri. Per noi è stato bello vedere come i loro desideri fossero gli stessi che abbiamo noi. A volte, sono riusciti a esprimerli con una forza tale che ho iniziato a seguirli in questa radicalità. Ascoltarli, ha cambiato il modo in cui Simone e io ci parlavamo alla fine della giornata: dovevamo anche noi giudicare, per non lasciare che andasse persa la bellezza e la profondità dell’esperienza che stavamo vivendo.
Ho avuto la grazia di vedere quei ragazzi scoprire la loro intrinseca bontà
Una volta alla settimana, un direttore di teatro viene a “L’imprevisto” per preparare con i ragazzi uno spettacolo. Proprio nei giorni in cui eravamo lì, hanno messo in scena una recita di fronte ai loro genitori. È stato un grande successo. Uno di loro mi ha poi raccontato: “È stata un’esperienza bellissima. Dopo lo spettacolo, mia madre mi ha abbracciato e mi ha detto: «Sono fiera di te». È la prima volta che le sento dire queste parole. In quel momento, ho scoperto che in me c’è qualcosa di più vero del male che ho commesso”.
È stata una delle tante esperienze in cui ho avuto la grazia di vedere quei ragazzi scoprire la loro intrinseca bontà, riconoscere di non essere riducibili a ciò che hanno fatto o vissuto. Mi è apparso evidente che il nostro compito non è risolvere le loro ferite ma mendicare che Cristo si renda presente ed entri nelle loro vite. Così, anche il lavoro quotidiano, con il passare dei giorni, è diventato sempre più un’offerta, la domanda che Cristo venga a salvarci.