Dalla filosofia all’amicizia

Dalle aule universitarie alla Scuola di comunità, passando per un libro di Giussani: un racconto dal Sud America

Ponzoni
Il campus della Pontificia Universidad Católica de Chile

Insegnare in università è una grande sfida. Una bella sfida. Certo, devi essere preparato, studiare tanto e sapere anticipare le domande dei tuoi studenti. Alcuni ragazzi, per sfida o per ingenuità, ti mettono alla prova. Vogliono sapere se ciò che gli proponi ha la forza di resistere in situazioni diverse da quelle in cui il tuo insegnamento è nato. La filosofia è una materia molto teorica, nel senso bello e nobile del termine. Ma le teorie sono la cosa più fragile che esista. Se siamo intellettualmente onesti, basta un solo buon controesempio e dobbiamo rinunciare alla nostra teoria, che magari abbiamo costruito con pazienza nel corso degli anni e a cui siamo genuinamente affezionati. Così, quando entri a lezione, ti accompagna sempre una certa tensione: tutto può succedere perché davanti a te ci sono menti giovani, fresche, acute…

Ogni ragazzo chiede che tu risponda alla domanda di senso

Non sempre però i ragazzi sono attenti e motivati. La quasi assoluta totalità dei miei studenti entra a lezione con almeno uno o due schermi digitali: cellulare, iPad, laptop. E spesso lo schermo attira l’attenzione più dei tuoi concetti. Io la prendo come una provocazione. La lezione deve avere ordine e ritmo, deve sorprendere. Da ogni lezione, i ragazzi devono uscire con almeno un’idea chiara. Nel tempo, ho capito che per ottenere questo risultato è necessaria una preparazione meticolosa. I miei appunti assomigliano al copione di un film. Ci sono perfino i tempi annotati. 

Ma la vera sfida è il perché. Ogni ragazzo, esplicitamente o meno, chiede che tu risponda alla domanda sul significato, sulla ragione per cui vale la pena fare fatica a imparare ciò che gli stai proponendo. Le prediche non funzionano. Il linguaggio esplicito, la comunicazione diretta sono efficaci solo quando i ragazzi formulano una domanda diretta. Bisogna accettare il fatto che il senso si comunica attraverso la tua persona. Con la passione che metti in quello che dici, con l’energia che trasmetti, con il rispetto e la pazienza con cui tratti i tuoi studenti. Qualcuno magari resterà colpito, ti farà una domanda in più, si fermerà a parlare con te dopo la lezione. È un po’ il sogno di un professore universitario come me che, oltre a insegnare la filosofia, vorrebbe che i ragazzi potessero conoscere la bellezza che ho incontrato e che vorrei comunicare a tutti.

Qualche anno fa, una ragazza alta e magra si presenta a lezione. È diversa dagli altri. Fa domande acute, senza spirito polemico. Vuole capire. Non si accontenta delle risposte solite. Un giorno ci sediamo a parlare e lei racconta alcune cose di sé, della sua vita. Comincia così un’amicizia. Dopo qualche tempo, lei mi chiede di diventare il suo direttore spirituale. È fedelissima al rapporto, ci vediamo con regolarità per anni. Osservando come il suo cammino di crescita spirituale avanzi, a un certo punto inizio a indicarle alcune letture come Si può vivere così? di don Luigi Giussani. Rimango sorpreso perché nei nostri colloqui successivi cita il libro più volte. Allora la invito a Scuola di comunità, la catechesi per adulti proposta dal movimento di Comunione e liberazione. Se all’inizio ci viene soprattutto per farmi piacere – me lo dice lei stessa, “Ci andrò quando posso” –, adesso la sua agenda gira intorno a questo appuntamento. È diventata amica mia e dei miei amici, ha incontrato la stessa bellezza che ho incontrato io, quella che mi ha mosso a donare la mia vita a Dio nella Fraternità san Carlo.

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