La nostra parrocchia è molto grande, all’incirca come la città di Imola o Pavia. Il territorio forse non è altrettanto esteso, però si trovano tante scuole, anche cattoliche; ci sono un ospedale e una clinica neurologica riabilitativa, una dozzina di case di riposo, tanti asili (oltre ai 13 che appartengono direttamente alla nostra parrocchia). Infine, le chiese: 13 più 4 cappelle minori. Viste le dimensioni del luogo, ci siamo divisi il territorio, anche da un punto di vista logistico: io ho una chiesa dove celebro regolarmente la messa e due asili di riferimento che vado a visitare per una semplice catechesi ai bimbi. Una grande parrocchia, ma alla fine, pur trattandosi di una larga parte della città di Bonn, l’effetto è quello di un paesone, dove basta andare al supermercato per incontrare il vicino di casa o un conoscente.
Qualche tempo fa camminavo dicendo il rosario per andare a celebrare la messa in una chiesa poco distante da casa nostra. All’angolo, al semaforo, mi si affiancano due bambinetti che tornano da scuola e mi salutano dicendo: “Salam aleikum”. Lì per lì sono rimasto basito, però poi ho capito che, nella loro mente, un signore vestito di nero che prega camminando deve per forza essere musulmano. Nel nostro quartiere, ma in generale in tutta Bad Godesberg, in effetti i musulmani sono molti.
Nonostante i miei limiti,
ciò che provo a portare arriva!
La cosa mi ha sinceramente un po’ amareggiato e profondamente interrogato: come è possibile che nella nostra cara vecchia Europa un bambino che vede un adulto pregare debba per forza pensare che sia musulmano? Qui intorno a casa nostra ci sono diverse moschee, più o meno grandi, e in alcune scuole elementari i musulmani arrivano anche oltre l’80 per cento dei bambini. Ma è stato un altro fatto, accaduto subito dopo, che mi ha fatto alzare la testa e lasciare i pensieri più foschi sul futuro dell’Europa.
Accanto alla chiesa dove andavo a celebrare la messa c’è uno degli asili parrocchiali che visito regolarmente. I bambini erano fuori e giocavano. Quando mi hanno visto passare, hanno subito salutato: “Hallo, Pater Nìcola!”. Il mio nome è atipico a queste latitudini, così spesso lo storpiano chiamandomi Pater Nicolaus o Nicolai, a seconda delle varianti.
Il loro saluto mi ha messo di fronte a un’altra bella verità: i bambini di questi asili domani avranno la possibilità di ricordare che c’era un prete pelato che li andava a trovare e che raccontava loro le storie su Gesù!
Ma non è tutto. Il giorno dopo mi è accaduta una cosa ancora più impressionante. Quando sono andato a visitare l’altro asilo, quello attaccato a casa nostra, un bambino, vedendomi, mi ha salutato dicendo: “Hallo, Jesus!”. Al di là della cosa buffa in sé (il ragazzo aveva appena appena esagerato), mi ha colpito che il messaggio gli fosse in qualche modo arrivato: nonostante i miei limiti con la lingua e con i bambini, ciò che provo a portare, arriva!