L’amicizia dei santi

Dio si fa conoscere attraverso i suoi santi: è la dinamica dell’incontro.

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Caritativa a Mathare, uno slum della periferia di Nairobi (Kenya).

Perché veneriamo i santi? Perché chiediamo la loro intercessione? Nel mese di dicembre sono stato a Catania a trovare un nostro prete che da qualche mese insegna presso un Istituto dedicato a Francesco Ventorino, sacerdote discepolo di don Giussani, educatore di rara sapienza e personalità, che ha avuto un’influenza profonda nella vita delle tante persone che lo hanno incontrato. Mi sono trovato lì nei giorni in cui cadeva la memoria di santa Lucia, le cui spoglie mortali tornavano in Sicilia per essere venerate, prima a Siracusa e poi nelle altre città della costa orientale dell’isola. Questa coincidenza mi ha portato a informarmi un po’ di più sulla vita di questa ragazza di circa vent’anni, uccisa sotto l’imperatore Diocleziano durante l’ultima grande persecuzione prima dell’editto di Milano del 313.

Mi ha colpito come la sua storia sia legata a quella di un’altra grande santa siciliana, Agata, che aveva subito il martirio cinquant’anni prima di lei: Lucia, infatti, si era recata a Catania per chiederle di intercedere per la guarigione della madre, che era un’emorroissa come la donna guarita da Gesù nel Vangelo di Marco.

La santità ha un fascino contagioso perché rivela quello che noi vorremmo essere

Lucia viene esaudita nella sua preghiera, non solo, ma riceve il dono di ascoltare la voce di Agata che la chiama “sorella” e la invita a dare seguito al suo proposito di consacrarsi a Dio nella verginità. Tornata a casa, Lucia rifiuterà pubblicamente di sposare l’uomo che le era stato imposto come marito, un pagano, pur sapendo che questa scelta le sarebbe costata la stessa fine della sua venerata “sorella”.

Ho trovato la loro vicenda illuminante. Innanzitutto, è interessante constatare come fosse già così presente nella vita della Chiesa dei primi secoli la consuetudine di venerare i santi (i martiri in modo particolare) e di chiedere il loro intervento, la loro intercessione. Inoltre, mi commuove il pensiero che si possa creare un legame così forte con loro, al punto da arrivare a considerarci loro fratelli e sorelle, come Agata chiamò la giovane Lucia.

La tradizione della Chiesa ha chiamato questo legame “comunione dei santi”. E una delle espressioni di questa comunione è proprio il desiderio che nasce in noi di assomigliare a coloro ai quali ci affidiamo. Nell’intervista rilasciata ai curatori della mostra presentata al Meeting di Rimini sul beato Franz Jägerstätter e sua moglie Franziska, la loro biografa, Erna Putz ha dichiarato: “Nel leggere le lettere che si scambiavano, ho pensato: «Voglio essere santa anch’io»”.

Un’amicizia fatta umana, carnale: è qui che inizia la comunione dei santi

La santità emana un fascino contagioso perché ci rivela quello che anche noi vorremmo essere e crea un legame fortissimo con le figure che hanno vissuto quella esperienza. Come è successo a Lucia con Agata, ad Erna Putz con i due coniugi austriaci.

Ma c’è di più. La comunione di cui parliamo ha un significato ancora più profondo. Il grande Alfonso Maria de’ Liguori, ponendosi la domanda se si debba o meno rivolgersi ai santi nella preghiera, ha scritto che è Dio che ce lo chiede, perché vuole che rimaniamo fedeli al metodo che Lui stesso ha usato per farsi conoscere e per parlare con noi. Di che metodo si tratta? Dio si è fatto conoscere dall’uomo attraverso l’uomo. Prima scegliendo alcuni (da Abramo a Mosè, da Davide ai profeti) per essere un segno e una parola per tutti. Poi mandando il suo stesso Figlio, fatto carne, affinché potessero conoscere Dio attraverso la sua umanità.

Possiamo chiamare questo metodo “incontro” oppure, con una parola ancora più umana, “amicizia”. È il metodo usato da Dio con l’uomo: creare circostanze, luoghi, fatti attraverso cui fare esperienza della sua amicizia dentro un’amicizia umana, carnale. È qui che inizia la comunione dei santi, nell’imbattersi in questi luoghi, in questi fatti, in questi volti e nel rimanere a essi fedeli. E questo è anche l’unico metodo della missione che noi conosciamo.

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