Non faremmo che parlare di lui

A partire da un episodio della vita di san Paolo, una meditazione di don Paolo Sottopietra sulla vocazione sacerdotale, la vita dell’uomo che si alimenta dell’entusiamo per Cristo, che si dona agli altri per amore di Lui, che vive di gratitudine per essere stato chiamato.

La gioia dopo l’ordinazione sacerdotale.

Dai cristiani del primo secolo ci è stato tramandato un episodio sorprendente della storia di san Paolo che mette bene in luce il segreto della vita del sacerdote.
L’apostolo è a Troade, una antica città costiera vicina all’attuale stretto dei Dardanelli. Lo troviamo in una sala situata al terzo piano di una casa privata, illuminata dalle torce mentre scende la sera. È intento a parlare a un gruppo di cristiani, radunati lì di domenica per partecipare alla messa. Il discorso di Paolo a commento delle Scritture si protrae fino a mezzanotte. Ad un certo punto, un ragazzo che lo ascolta accovacciato sul davanzale di una finestra si addormenta, cade nel vuoto e muore.
Bastano pochi attimi per prendere coscienza di ciò che è accaduto e il raduno si interrompe. Paolo corre per primo al piano terra, esce all’aperto e si stende sul corpo del ragazzo. Quando si rialza, rassicura subito tutti: Non vi turbate; è vivo! Ha ottenuto da Dio un miracolo straordinario, ha risuscitato un morto con gli stessi gesti compiuti molto tempo prima dal profeta Elia. Risale allora nel salone illuminato, lasciando il ragazzo alle cure di qualcun altro. La messa prosegue. Paolo spezza il pane, lo distribuisce e riprende a parlare, fino all’alba. Ha fissato la partenza per il giorno dopo e offre a chi lo ascolta tutto il tempo che gli rimane, anche quello del riposo.

Non possiamo non restare colpiti da un desiderio così vivo di ascoltare la parola di Paolo. Stanno a sentirlo per ore e ore, lungo tutta la notte. Paolo avrà commentato la Scrittura, avrà parlato della sua esperienza di Cristo, avrà forse risposto alle domande di chi chiedeva approfondimenti. Certo, nei primi anni dopo la resurrezione di Gesù il rito della messa era più simile a un pasto familiare di quanto non sia oggi, e gli incontri si protraevano perciò a lungo in modo naturale. Ma quella sera, a Troade, non sapendo se e quando lo rivedranno, i presenti hanno una ragione in più per sfruttare ogni minuto e assorbire da un testimone così unico quanta più luce possono trarre.

Paolo era testimone di un evento così straordinario che quegli uomini non avrebbero mai voluto smettere di sentirne parlare.


Addirittura un fatto incredibile come la morte e la resurrezione di un bambino passa in secondo piano, non turba che per un attimo la loro attenzione. È vero che nel frattempo il ragazzo viene ricondotto in mezzo agli altri, vivo, e che tutti ne provano sollievo, segno che non era mancata una comprensibile apprensione. Ma l’immediatezza con cui la gente si raccoglie di nuovo e la celebrazione della messa riprende, dopo quei pochi minuti di concitazione, si spiega solo per la partecipazione intensissima suscitata dall’annuncio di Cristo: un uomo che era Dio, che era morto e risorto, che Paolo aveva incontrato personalmente dopo la risurrezione. Un contemporaneo, di cui si potevano ancora incontrare i discepoli, che aveva operato miracoli e guarito ammalati, che aveva insegnato una sapienza nuova e bellissima, parlando di Dio e dell’uomo con sicurezza ineguagliabile; che era stato giustiziato ed era riapparso vivo a molti, dopo la morte, per insegnare loro a leggere la Scrittura, a capire come i profeti e i salmi non avessero parlato che di lui; che era salito al cielo davanti ai suoi amici più stretti. Insomma, Paolo era testimone di un evento così straordinario che quegli uomini non avrebbero mai voluto smettere di sentirne parlare. Il miracolo compiuto da Paolo non faceva che confermare quell’incredibile verità. Cristo era presente! Solo quel fatto dava senso alla loro esistenza e tutto il loro interesse era concentrato su colui che portava l’annuncio.

Da parte sua, Paolo, dopo l’incontro che gli aveva cambiato la vita, non avrebbe mai smesso di parlare di lui. Era stato disarcionato da cavallo e abbagliato da una luce misteriosa, Gesù gli era apparso e gli aveva parlato. Poi era stato accolto dalla comunità cristiana e aveva preso consapevolezza di quale dono di misericordia avesse ricevuto. Ultimo fra tutti è apparso anche a me, come a un aborto, usava dire, io che prima ero stato un bestemmiatore, un persecutore e un violento. È questo stupore, pieno di dolore e di commozione, che ora spinge Paolo a parlare di Cristo per ore e ore di fila. Vuole spiegare agli altri, anzi rappresentare al vivo a chi non ne ha vissuto un’esperienza diretta, che Gesù è veramente morto in croce e poi risorto per ciascuno di noi, come era scritto da secoli nei libri sacri del popolo di Israele. Non è più possibile vivere se non per lui, perché lui è morto e risorto per tutti.

Questo episodio, uno dei rari in cui Paolo è presentato mentre celebra la messa, ci rivela il suo cuore di sacerdote e con esso l’essenza stessa della vocazione sacerdotale. Il prete è un uomo che vive di entusiasmo per Cristo. Caritas Christi urget nos. Non c’è altra ragione che ci spinga a pregare, a studiare, a insegnare, a donare noi stessi alle persone che ci sono affidate se non l’amore per lui, la gratitudine per essere stati personalmente chiamati, salvati e coinvolti nella sua missione.
Tutta la mente e gli affetti di un prete sono presi dal desiderio di parlare di Cristo, perché tutti sappiano che egli è presente nella vita degli uomini, perché sia conosciuto e amato.

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