Vescovi in missione

In seminario, due testimonianze dalla Mongolia e dall’Arabia accendono il desiderio di missione.

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L’incontro del card. Giorgio Marengo, prefetto apostolico di Ulan Bator (Mongolia), con i seminaristi della Casa di formazione della Fraternità san Carlo.

“Se leggete gli Atti degli Apostoli, avete un’idea di quello che noi affrontiamo quotidianamente”. Così esordisce, in un incontro nella nostra Casa di formazione, il cardinale Marengo, raccontando della sua missione in Mongolia, iniziata ormai 30 anni fa. Ci racconta di una terra grande cinque volte l’Italia, abitata da soli 3 milioni di persone, ma con ben 65 milioni di capi di bestiame. Circa metà della popolazione vive intorno alla capitale. I restanti abitano in villaggi dispersi nella natura più diversa: dal deserto, alle montagne, ai grandi laghi. Fuori dalla capitale, i contadini vivono da secoli nelle gher, tende di legno ricoperte da strati di feltro e cotone, dove ci si ripara dai -40° C invernali. “È una terra – ci dice – in cui domina il silenzio, e quindi per parlarsi basta sussurrare”. 

Marengo arriva in Mongolia nel 2002, in un paesino di campagna dove il cristianesimo è ancora sconosciuto. Presto nascono le prime amicizie, la gher-chiesa e la gher-attività. La gente si incuriosisce: molti si avvicinano alla preghiera, avvengono le prime conversioni. Pian piano, le gher si moltiplicano: tra queste compaiono l’asilo, il ritrovo per alcolisti, il doposcuola, le docce pubbliche. 

Oggi la Chiesa Cattolica in Mongolia conta circa 1600 persone e si vanta di essere l’unica Chiesa locale a essere riuscita a entrare per intero in un’unica foto insieme al Papa, in occasione della visita di Francesco nel 2022. 

Persone provenienti da tutto il mondo
si scoprono riunite dal battesimo

Mentre racconta, dal suo volto traspare quello di cui parla: il silenzio vissuto con intensità, lo stupore di un nuovo inizio, la gioia di una vita messa a disposizione con semplicità.

Pochi giorni prima, monsignor Martinelli ci aveva invece raccontato una situazione apparentemente opposta. Il vicariato apostolico dell’Arabia meridionale che guida si estende tra Yemen, Oman ed Emirati Arabi. Pur nei contesti diversi, quello che ci colpisce è la vivacità della Chiesa di cui ci racconta. Il contesto è complesso e i governi dei diversi stati impongono restrizioni più o meno severe. Eppure, i bambini che frequentano il catechismo nel vicariato sono 35 mila e, là dove ci sono, le chiese sono sempre piene. I fedeli sono per lo più immigrati e provengono da oltre 100 paesi differenti. Se è vero che i fedeli solitamente si radicano in gruppi con cui condividono lingua e tradizioni – dice Martinelli – si assiste a ciò di cui scrisse già san Paolo: persone provenienti da tutto il mondo si scoprono riunite dal battesimo.

All’altro lato del tavolo ci siamo noi, giovani seminaristi, che li ascoltiamo parlare. Siamo fortunati perché possiamo sentire queste storie e conoscere meglio la Chiesa nei suoi angoli sconosciuti ma luminosi. Al contempo, vediamo come una promessa la letizia che risplende sul volto di chi è più avanti nella strada che anche noi desideriamo percorrere.

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