Mi è capitato di parlare con un amico della nostra cara Europa e di quella tendenza che molti chiamano l’epidemia della solitudine. “Ho l’impressione che siamo di fronte a un mondo dove non riusciamo ad andare oltre due modi di vivere: da una parte il tribalismo, dall’altra l’individualismo” diceva lui. “O l’uno o l’altro”. A ben guardare, però, sembra ci sia una radice comune a queste dinamiche apparentemente opposte: nel caso ci si circondi di persone che sono la replica di noi stessi o ci si isoli nel bunker dei nostri pensieri, alla fine si rimane irrimediabilmente soli.
Le storie delle nostre missioni in Europa parlano di esperienze di amicizia
Un breve sguardo all’attualità sembra confermare tutto ciò. Le recenti elezioni politiche in tanti paesi europei hanno fatto registrare un aumento significativo di consensi attorno a partiti cosiddetti nazionalisti. È un dato che può essere letto come la disperata ricerca di un’identità perduta o come la paura di tutto ciò che sfugge al nostro controllo. Anche quei circoli che predicano una fratellanza globale incolore – senza cielo, nazione o religione, come cantava John Lennon –, si mostrano spesso come sistemi chiusi a qualsiasi possibilità di dialogo. Sono sempre di più i ragazzi che faticano a uscire dalle loro stanze, preferendo alla realtà luoghi virtuali in cui sentirsi sicuri e coccolati. Il mondo del lavoro sembra essere diventato il luogo dove tutto, dal rapporto con i colleghi alla scelta della professione, deve essere vissuto in funzione della propria solitaria autoaffermazione. A volte, parlando con genitori e ragazzi, ho come l’impressione che si sia disposti a sacrificare addirittura la felicità in nome dell’indipendenza, diventata oramai un valore assoluto.
Ma è veramente tutto qui? Le storie delle nostre missioni in Europa dicono qualcosa di diverso. Parlano di esperienze di amicizia che nascono, come per grazia, attorno a un invito che viene da lontano. Lo stesso che fu pronunciato per la prima volta duemila anni fa da un uomo durante una cena con i suoi più cari amici: vi ho chiamato amici, perché vi ho detto tutto (Gv 15,15). Il tutto di cui quell’uomo, Gesù, parlava, la sostanza e il segreto dell’amicizia che proponeva, era la condivisione profonda dell’umano e del divino, di quel fiotto di vita nuova che Lui stesso aveva portato nel mondo, che sgorgava dal cuore stesso di Dio e che non lasciava tranquilli, ma anzi spalancava agli orizzonti del mondo.
Storie di amicizia che spesso vediamo accadere nelle nostre case di missione, luoghi costruiti attorno al coinvolgimento delle nostre vite con Dio, a cominciare dai criteri con cui affrontiamo il nostro lavoro fino al tempo libero, ai momenti di riposo. Un’amicizia a 360°, che tentativamente diventa proposta a tutti. L’occasione può essere un pellegrinaggio, un corso di catechismo, cinque giorni di vacanza, un incontro a scuola, un’attività di educazione alla carità.
Un abisso che esige risposta
e che non ci lascia indifferenti
Ci sentiamo chiamati a stare sulla soglia dei cuori di coloro che incontriamo, provocando e attendendo quella miracolosa apertura che ci lascia intravedere l’abisso che ogni uomo si porta dentro. Un abisso che è sete di verità, ricerca affannosa e a volte drammatica di un Salvatore, speranza di essere perdonati, fame di comunione. Un abisso che esige risposta e che non ci lascia indifferenti. Da qui nasce la nostra missione, che è dono dei tesori divini che a nostra a volta abbiamo ricevuto e continuiamo a ricevere dall’abisso di Dio, attraverso un Corpo che cammina nella storia da duemila anni e al quale indegnamente e orgogliosamente apparteniamo.
La missione cristiana non è una partita a Risiko ma un incontro cuore a cuore. Non contano le armate o i territori conquistati. Conta la profondità: è nel profondo che ci si incontra veramente, da lì ci si scopre aperti all’incontro con tutti. La nostra missione in fondo è animata da questa sola intenzione: che i luoghi che abitiamo diventino il crocevia dove si possano incontrare la povertà del cuore dell’uomo e la ricchezza del cuore di Dio.